Scudetto 2006, la caporetto della Figc: Abete e gli altri si dichiarano "incompetenti"? Allora tutti a casa
Come volevasi dimostrare, la Federazione Italiana Giuoco Calcio ha deciso di non decidere sulla revoca dello scudetto 2006, assegnato a tavolino all'Inter. Il lancio dell'agenzia Agi è illuminante: "Il Consiglio Federale della Figc ha approvato a larga maggioranza la delibera con la quale ha espresso la 'non competenza' circa la revoca dello scudetto del 2006 assegnato all'Inter in seguito allo scandalo di Calciopoli. Al momento del voto si sono astenuti il presidente della Lazio Claudio Lotito e quello della Lega di Serie B Andrea Abodi. Assente invece il presidente della Lega di Serie A, Maurizio Beretta. A quanto si apprende la delibera e' stata 'licenziata' con un solo voto contrario".
Ventidue favorevoli, un contrario e due astenuti: la caporetto della Federcalcio per 4 volte campione del mondo e per 1 volta campione olimpica non poteva essere più completa. Se fossimo in un Paese normale, di fronte all'atteggiamento assunto da Abete e sodali che, pur di non decidere, si sono pubblicamente dichiarati "incompetenti", il comitato olimpico nazionale dovrebbe mandare tutti a casa e nominare un commissario. Naturalmente, che non rispondesse al nome di Guido Rossi. Altrettanto naturalmente, il Coni di Petrucci non farà nulla di tutto questo. L'importante è rimanere attaccati alle poltrone, a qualunque costo.
Asserragliati nel bunker di Via Allegri, Abete e sodali non hanno capito nulla. Non hanno capito che in ballo non c'era tanto la revoca o la conferma di uno scudetto che, mai e poi mai, nel 2006 Rossi avrebbe dovuto assegnare a chicchessia perchè, a norma di regolamento, le irregolarità del torneo erano talmente manifeste da consentire la non attribuzione del titolo.
Abete e sodali non hanno capito che la loro conclamata "incompetenza" è la certificazione del crollo della credibilità di un sistema reso ormai putrescente dal quinquennio calciopoliano, dall'inchiesta del 2006 monca e sommaria, dall'indecente ritardo con il quale sono state acquisite le nuove intercettazioni prodotte dalla difesa di Moggi durante il processo penale in corso a Napoli.
Abete e sodali non hanno capito che, ignorando in pratica, il Rapporto Palazzi, hanno sconfessato il lavoro del Procuratore e della Procura Federale, hanno calpestato l'aspettativa di giustizia di milioni di tifosi, juventini, interisti, milanisti, fiorentini, reggini, di qualunque bandiera. Perchè devono essere chiari due punti: 1) il Rapporto Palazzi non è la rivincita di Moggi e del Sistema Moggi, le cui responsabilità sono state ribadite punto per punto dal procuratore Federale dopo essere state sancite da sei ordini di giudizio sportivo. 2) Il Rapporto Palazzi non è un attentato alla figura e alla memoria della leggendaria figura di Giacinto Facchetti, "un'icona senza bandiera", come l'ha efficacemente definita Giampiero Gasperini e ha sbagliato chi si è fatto scudo di Facchetti per incassare la prescrizione e fare spallucce di fronte alle accuse di Palazzi che, se fossero state mosse nel 2006, avrebbero determinato il deferimento dell'Inter.
La verità è che giustizia non è stata fatta; che rinunciare alla prescrizione sarebbe stato il modo migliore per Moratti di riaffermare la diversità nerazzurra che tale non può più essere considerata, essendo stato accusato di illecito sportivo da Palazzi. Accusa non confutabile davanti ad un tribunale della Figc perchè sopraggiunta prescrizione impedisce di andare in dibattimento.
La Juventus ha già annunciato la volontà di adire ogni via legale, sportiva e ordinaria, per far valere le sue ragioni. Bene. Ma perchè non l'ha fatto cinque anni fa? Perchè, all'epoca, per difendere il blasone e il prestigio del club più scudettato d'Italia, l'allora dirigenza bianconera non ebbe il coraggio di andare davanti al Tar anche a costo di bloccare tutto? Forse perchè, a Torino, l'importante era far fuori Moggi e Giraudo, a qualunque prezzo?
La storia di Calciopoli è piena zeppa di peccati mortali. La Federcalcio ha sulla coscienza l'ultimo. Ma è in buona compagnia.