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Sconcerti, il ritratto: insonne, detestava il politicamente corretto, esaltava i grandi. Il Cappuccino spazio di libertà
Mario se n'è andato a dicembre, a pochi giorni dall'anniversario di Brera (30 anni, domani) e alla stessa età di Mura, 74. Era la sua squadra, era stato lui a volerli, lui era il ct. Questo giornale deve a Sconcerti l'invenzione dello sport di Repubblica e tanto altro. Era figlio di un manager di boxe, Adriano, che seguiva Mazzinghi, e raccontava della delusione di quando nel match contro Benvenuti chiese «papà si vince stasera?» e l'altro con la testa gli fece segno di no.
Mario aveva iniziato da giovane al Corriere dello Sport , era sempre a Coverciano e Valcareggi lo chiamava affettuosamente Sconcertino. Era fiorentino, tifava per la Fiorentina (di cui è stato direttore generale con Cecchi Gori), non l'ha mai nascosto, ma era un tifoso non di parte.
Volle anche Fossati, per il ciclismo. E poi arrivò anche Clerici. Non era geloso delle grandezze altrui, anzi si divertiva a gestirle e ad esaltarle. I suoi confronti erano sempre alti: Attila, Napoleone, le storie dei popoli, Leopardi, Michelangelo, deviava dallo sport per metterci dentro quello che aveva imparato e elaborato dai tanti libri che leggeva di notte.
Era insonne, divorava pagine, rileggeva le grandi battaglie, dagli Orazi a Little Big Horn, trascriveva schemi, studiava il calcio. Diceva cose bellissime, le sue ultime frasi scritte: «Il divertimento del calcio è che c'è sempre un margine di miglioramento imprevisto da aggiungere. Di solito è la parte migliore».
Ci ha insegnato a non avere paura della cronaca, perché non esistono piccole storie, e anche un raffreddore raccontato bene, fa star male chi legge. Ci ha invitato a partire, sempre, ogni volta, ad andare alla stazione a prendere il primo treno, perché le cose andavano viste, e a non avere paura di esprimere quello che uno sentiva dentro. «Resisti, Niki» era un suo titolo su Lauda. Odiava la banalità, la scontatezza, il politicamente corretto. Amava i moti del cuore, tutto quello che sta per succedere, insegnava che bisogna andare sull'Arno che cresce di notte, perché la paura è un sentimento reale e non aspettare il giorno dopo per scrivere «ieri il fiume è uscito dagli argini ».
Era divertente lavorare con lui. Si viveva di passioni, di fatiche, di eccessi, di costruzioni. Era autocritico: «Oggi abbiamo giocato per il pareggio». Credeva nelle notizie, nei fatti, che non andavano mai nascosti, ma anzi rilanciati. Non aveva paura della retorica, di essere umano, di dire da che parte stava, quasi sempre sceglieva quella più difficile e impossibile, forse anche per il gusto di sorprendere. Era bello anche dissentire da lui.
Ai Mondiali dell'82 con la Nazionale di Bearzot in silenzio- stampa lo dovettero separare da Tardelli che l'aveva provocato, ma poi da toscani fecero pace e lui ammise che certe reazioni è meglio non averle.
Ma lui le aveva, non ci rinunciava. In una Repubblica che ancora non usciva il lunedì e dove lo sport non era considerato cultura andò nella clinica dove lo sciatore Leonardo David, dopo una caduta, viveva in stato vegetativo, e scrisse un grande pezzo che gli valse i complimenti di Miriam Mafai. Finalmente lo sport (e i suoi giornalisti) era stato capito e accettato ai piani alti. Ora si parla di uguaglianza di genere, ma è bene far notare che Sconcerti ovunque ha lavorato ha sempre assunto e valorizzato donne.
Scalfari nell'88 lo mandò a Firenze ad aprire la redazione locale, in via Maggio 35 mancavano le sedie, ci si sedeva sugli elenchi del telefono, le macchine da scrivere erano difettose, come le stampanti. Ma non aveva importanza. Firenze sperimentava la fecondazione assistita. Careggi, 31 marzo '89: il primo bimbo nato in provetta in Toscana. A Mario non parve vero. Il nostro giornale titolò: «Ecco Lorenzo, è Magnifico». Sapeva ragionare, scrivere, commentare, capire, dirigere, ma era anche un eccellente titolista. Ha scritto molti libri, ha fatto la storia del giornalismo: a Roma, Genova ( Secolo XIX ), Milano ( Gazzetta dello Sport e Corsera ), in tv alla Rai, Sky e Mediaset. Forse le sue domande non piacevano ai club, ma chi segue il calcio non vedeva l'ora di avere delle risposte da Sconcerti. I suoi podcast per il sito Calciomercato erano diventati uno spazio di libertà e di riflessioni filosofiche. La sua parola preferita, la più usata, era: diversità. Forse perché lui era il più diverso. Diceva del giorno in cui sarebbe morto: «Piangerai, non ce la farai a scrivere».