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Schiaffo a Putin per il bene dello sport
Perché ciò accada occorrerà che i vertici del CIO si attengano a quella che è stata la sentenza emessa dal Tribunale di Appello Sportivo il quale ha ratificato l'espulsione di sessantotto atleti russi colpevoli di aver fatto uso continuativo e sistemico di sostanze dopanti e comunque illecite per migliorare le loro prestazioni. Un taglio netto, ma parziale, che potrebbe diventare radicale qualora i 'signori degli anelli' arrivassero a fare, senza esitazione, ciò che sarebbe giusto. Allargare la punizione colpendo non solo i protagonisti dell'atletica ma tutti quanti gli iscritti russi. Viene, infatti, molto difficile se non addirittura impossibile immaginare che in una nazione dove la pratica dello sport drogato è da anni diventato Sistema soltanto gli uomini e le donne 'da stadio' frequentassero (e fossero addirittura obbligati a farlo da allenatiri e politici) pratiche illecite piuttosto che non anche tutti gli altri, dai nuotatori ai giocatori di 'pallla' dai pesisti ai lottatori. Il Cio si trova tra le mani la Grande Occasione. Dare una vigorosa e netta svolta alla barra del timone per direzionare lo sport mondiale verso acque più pulite. Semmai non dovesse farlo vorrebbe dire che, per l'ennesima volta, a vincere sono stati i compromessi, il clientelismo, le ragioni di Stato, gli interessi economici, le pressioni degli sponsor e le vergognose complicità farisaiche.
Sia chiaro che nessuno ce l'ha con la Russia per pregiudizio di simpatia o di antipatia. Così come, invece, ciascun sportivo autentico (praticante e non) ha il dovere sacrosanto di ribellarsi alla truffa orchestrata dall'imbroglione di turno. Quella del doping legata alle Olimpiadi è storia vecchia e, forse, già gli atleti dell'Antica Grecia bevevano intrugli miracolosi prima di lanciarsi nella competizione. Ma senza andare troppo in là nel tempo, basta ricordare il ciclista danese Jensen il quale ai Giochi di Roma del Sessanta cadde rovinosamente dalla bici e morì in ospedale. L'autopsia rivelò che era gonfio di anfetamine. Otto anni dopo, durante le tragiche Olimpiadi di Città del Messico svoltesi praticamente sui cadaveri dei dissidenti alla dittatura morti ammazzati in piazza, furono sessantasette gli atleti conto con le mani nel barattolo della marmellata proibita. Fino al giorno in cui persino un mito come Ben Johnson a Seul dovette ammettere di aver fatto uso di steroidi. Come si dice a Napoli, accà nisciuno è fesso. Ricordate le immagini inviate dalla televisione negli Anni Novanta degli atleti in forza alla Repubblica Democratica Tedesca? Soprattutto le donne, quelle del peso o le lottatrici o le nuotatrici che avevano pure i baffi oltre a fisici incompatibili con il sesso femminile. Non se ne poteva più. Si iniziarono, così, le prime battaglie anti-doping e, curiosamente, ai Giochi del Duemila un solo partecipante risultò positivo alle analisi e controanalisi.
Ora, forse, finalmente ci siamo con la cacciata dei cattivi maestri e dello sport sputtanato da elementi malati e contagiosi che possono infettare, per esempio, una nostra giovane e ingenua velista come la Capuano. Un'assurdità paradossale perché le vere 'droghe' per uno skipper sono il vento, gli spruzzi di acqua salata sul viso e i delfini che accompagnano il viaggio della barca. L'augurio è che il CIO non sciupi la Grande Occasione epocale. Perché lo schiaffo sul viso di Putin equivarrebbe, come ha ben detto la mia amica Manuela Audisio su 'La Repubblica', a una carezza sul volto dello sport. Una coccola che farebbe tanto bene.