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Sassuolomania: il trionfo del contropiede? Parliamone
Il Parma sembra pensato apposta per sottrarre il legnetto alla torre d’equilibrio costruita pazientemente dagli avversari. Come nel classico gioco per bambini e adulti, Jenga mi pare che si chiami, a un certo punto il crollo avviene, e non è possibile evitarlo. A volte l’errore è palese, e la torre precipita per imperizia, altre volte invece si giunge a un limite estremo, oltre al quale non c’è mossa successiva che possa tenere in piedi la costruzione. Lì opera oscuramente il destino, non esistono più le responsabilità individuali. Ecco, la sconfitta di ieri contro il Parma, diversamente dall’andata, mi è sembrata più che altro un gran arbitrio del destino. Che dire altrimenti? Dovremmo dare la colpa a Berardi per aver perso quel pallone sulla trequarti avversaria? Potremmo anche farlo. Dovremmo parlare di Ferrari e Obiang sul cross di Cornelius? Potremmo anche farlo.
Ma c’è una sensazione finale che va rispettata, al di là del valore degli avversari e degli errori commessi. Quel senso di ingiustizia, classico lascito della fatalità, che ora ci tormenta, anche se di fatto nessun torto effettivo è stato subìto. Non è vittimismo, è incredulità. La sempre istruttiva, spiazzante e dolorosa scoperta del calcio. Questo gioco sfugge continuamente ai nostri tentativi coraggiosi di dominarlo. Si ribella come un monello capriccioso. Beffardo. Sicché il gol del Parma non è il trionfo definitivo del contropiede, è piuttosto un dispetto che il calcio fa a sé stesso, o meglio, a un certo modo di pensarsi. Non è il tradizionalista D’Aversa che batte De Zerbi l’innovatore. Sarebbe troppo stupido da dire considerando la traversa di Locatelli e i gol mangiati da Obiang e Caputo nel primo tempo. Troppo manicheo, troppo disonesto.