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    Sassuolomania: i varisti ‘migliori’ sono i più temibili. Un problema filosofico

    Sassuolomania: i varisti ‘migliori’ sono i più temibili. Un problema filosofico

    • Luca Bedogni
    Con Sassuolo-Spal (0-2) nasce ufficialmente una nuova classifica arbitrale, quella dei varisti. Anche da un punto di vista giornalistico torna comodo dire: “Irrati è uno dei migliori varisti in circolazione”, come se fosse un argomento. Il varista eccellente infatti non è più solamente un arbitro. Lo chiamiamo varista, d’altra parte. Non ha due occhi come l’arbitro, le immagini sono i suoi occhiali, la sua lente di ingrandimento. Perciò la sua percezione, la sua sensibilità non potrà che fondarsi sulle immagini, sui replay. Ed è qui che si gioca le posizioni in classifica il varista, su questa sensibilità virtuale (di cui non si conosce bene il metro) che di fatto non è più quella di un semplice arbitro. 




    Al Sassuolo di recente sono stati espulsi ben tre giocatori grazie a questo sguardo ‘aumentato’ (Haraslin contro il Benevento, Obiang contro la Juve, Djuricic contro la Spal). In tutti e tre i casi per l’arbitro in campo si è trattato di un fallo sanzionabile al massimo con un giallo. Per i varisti no. Be’, dico io, tre volte iniziano a essere tante. È come se la differenza di percezione tra l’arbitro e il varista venisse a galla in tutta la sua assurda drammaticità. E non parliamo di falli ignorati, eh!, falli non visti. Sono falli evidenti, giudicati in un modo sul campo e in un altro davanti ai monitor. Prima ancora di entrare nel merito, entrataccia per entrataccia, occorre a mio avviso riflettere seriamente su questa discrepanza nella valutazione fra immediatezza (la percezione autentica della dinamica) e mediatezza (la percezione ‘aumentata’ della dinamica). Fra percezione dell’arbitro e percezione del varista. Rivedere un evento equivale a modificarlo, tant’è vero che poi l’arbitro in campo tende a cambiare parere, perché davanti a sé, quando viene richiamato al monitor, non ha più la dinamica pura ma qualcos’altro. E così l’arbitro assume la stessa sensibilità ‘aumentata’ del varista, indotto a farlo sia dal potere persuasivo della chiamata sia dal potere distorsivo delle immagini, oscurando di fatto a sé stesso la natura transeunte del gioco.      














     

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