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Sassuolo, Erlic: ‘Sono un ragazzo di campagna, farò tutto per fermare Vlahovic. Nazionale? Io ci credo’
LA GUERRA - “Io sono nato nel 1998 in un piccolo paese in Croazia, Tinj, la guerra era finita, ma i miei genitori l’avevano vissuta in prima linea. Avevamo una casa che è stata bombardata, mio padre l’ha ricostruita, con l’aiuto di mia madre, e non è stata facile la vita. Io la guerra non l’ho vissuta e non posso dirlo, però nei racconti e nelle esperienze degli altri posso dire che non ci sia cosa peggiore”.
LE ORIGINI UMILI – “Non mi vergogno a dire di essere un ragazzo di campagna, perché lì ci sono nato. Mi sono stati trasmessi veri valori e apprezzo ciò che è stato fatto per me. Per questo, inoltre, apprezzo chi fa lavori umili e più difficili del nostro. Io mi sento fortunato, perché sono un calciatore, che è la cosa più bella del mondo e perciò non mi sentirete mai lamentarmi. Io ho vissuto un’infanzia un po’ difficile perché i miei lavoravano in campagna, da prima dell’alba fino al tramonto, tutti i giorni. E soldi non ce n’erano. I miei sono contadini e la vita è davvero dura. Però questo percorso che ho compiuto l’ho fatto con un obiettivo sempre in testa: poter aiutare la mia famiglia e ridare loro un po’ di ciò che loro hanno fatto per me. Io vivo per la famiglia e gioco a calcio per rendere la loro esistenza un po’ più semplice”.
LE VACANZE – “Quando torno a casa li aiuto volentieri. Mio padre mi dice sempre: vai al mare, risposati, non c’è bisogno che tu stia qui in campagna. Ma io Mykonos o Ibiza non le ho viste e non mi manca tutto questo. Sto bene a casa. Non dico che non ci andrò mai nella vita, ma al momento non fa per me”.
MENTALITA’ – “Resto quello di sempre, non mi monterei la testa, non farei mai il fenomeno. Non vedo perché dovrei: nella vita bisogna rispettare le persone che lavorano con te e per te e non bisogna mai perdere l’umiltà”.
GLI INIZI – “A nove anni ho voluto andare a giocare a calcio, ma dovevo spostarmi dal mio paesino. Dovevo andare a Rastane, che ha un club di serie C. Andavo a piedi: 5 km ad andare, 5 km a tornare. I miei non potevano accompagnarmi: non che non volessero, è che dovevano lavorare e non c’era altro modo. Mi arrangiavo, solo che per giocare a calcio dovevi avere le scarpe. Io chiedevo magari a qualche amico che ne aveva un paio in più, poi un giorno mio papà me le ha comprate. Non è stato facile, erano tempi duri. A 12 anni sono andato a Zagabria, a giocare nella Dinamo: ora mi rendo conto, guardando i ragazzini di quella età, di quanto siano piccoli. Io sono cresciuto più in fretta. Ma la mia famiglia mi è sempre stata vicino, lasciandomi libero di scegliere la strada giusta per me. Mio papà ha sempre dovuto chiedere prestiti ai suoi amici per farmi avere i soldi. Ho vissuto a Zagabria da una coppia di signori anziani, sono stati gentilissimi con me e ancora oggi ci sentiamo, mi hanno insegnato tantissimo. Poi pian piano il tempo passava ed ero più forte mentalmente: sono andato a Rijeka poi a 15 anni e mezzo sono arrivato a Parma. Mi avevano pescato in un torneo: mi ha notato Francesco Palmieri, al quale devo molto, posso solo ringraziarlo. Lui venne a casa mia in Croazia per parlare con i miei e sono partito per l’Italia. Quando il Parma è fallito sono arrivato a Sassuolo, in Primavera, dopo Bolzano con il Sudtirol, poi allo Spezia in prestito. Ora sono felice di avere l’opportunità al Sassuolo”.
LA SFIDA CON VLAHOVIC – “Uno dei migliori attaccanti in Italia, ha tantissime qualità. Per me è una motivazione in più per capire anche io a che livello sono arrivato, se mister Dionisi mi schiererà darò tutto per fermarlo”.
LA NAZIONALE – “Qualche mese fa, se me lo avessero detto, avrei pensato a uno scherzo. Ho tre mesi fondamentali davanti a me, bisogna fare prima bene a Sassuolo e poi sperare nella chiamata. Io ci credo, ma dipende da me. Senza mai perdere l’umiltà”