Getty Images
Sarri, il Milan e l'ossimoro Michels
Michels fece immensa l’Olanda, oltre le sue vittorie. Michels gestì come nessun altro il Divino e l’Impossibile, Johan Cruijff. A Sarri per ora hanno messo a disposizione materiale calcistico differente, ma pare gli vada bene gestire gli acciacchi del buon Maccarone, uno che quando giocava in serie B venne chiamato in Nazionale, uno che magari poteva dare di più, ma che in fondo ha una sua storia di grande dignità e pure dei guizzi di genialità. No, Maccarone non è Cruijff.
Michels fece la Rivoluzione dei Tulipani. Sarri potrà fare la Rivoluzione dei Carciofi. Se entrare a Empoli capirete il perché. Perché qui, in provincia di Firenze, a una manciata di chilometri dalla Galleria degli Uffici, appena entri in città ti accoglie un cartello: Empoli, città del carciofo.
Michels perfezionò il calcio totale, seguendo gli insegnamenti del suo maestro Jack Reynolds, allenatore dell’Ajax dal 1915 al 1925. In sintesi: nessun giocatore è ancorato al proprio ruolo e nel corso della partita chiunque può operare indifferentemente come attaccante, centrocampista o difensore.
Sarri, in verità, fa il contrario: sceglie il modulo secondo le caratteristiche dei giocatori dei quali dispone. A Empoli parte con il suo marchio di fabbrica, il 4-2-3-1. Non va. Prova il 3-4-1-2. Non ci siamo. Ritenta con il solido 4-4-2. Niente, pensa di gettare la spugna. Prova il 4-3-1-2, ne parla con i giocatori. Ci siamo, il modulo è quello giusto.
E ancora: Michels apriva il ritiro dell’Olanda alle moglie dei giocatori. E limitava i ritiri, comunque. Sarri porta tutti in ritiro punitivo a due giornate dalla fine di un ottimo campionato. Lo fa perché si gioca fino alla fine . E almeno nelle ultime due gare l’impegno dell’Empoli non è stato ottimale. Però in queste contrapposizioni, in questi ossimori calcistici, tra Cruijff e Maccarone, tra il tulipano e il carciofo, c’è un filo rosso che unisce i due personaggi: entrambi vivono il calcio come una missione. Meglio, rispettano con grande integrità il meraviglioso lavoro che si sono trovati a fare.
Il campo, la panchina, lo spogliatoio: il resto non conta. Sarri dice “sono figlio di operai, voto a sinistra, ma non Renzi”. Così se ne frega se le sue parole, la sua scelta di campo, qualche mese dopo gli costeranno con buona probabilità la possibilità di allenare il Milan del Decaduto Silvio Berlusconi. Sarri porta tutti in ritiro e se ne infischia se la sua scelta lo metterà in cattiva luce con i big di quelle grandi squadre che potrebbe andare ad allenare. Ora, che è iniziato il valzer delle panchine, lui rinnova con l’Empoli e sta a guardare. Come quei ragazzi un po’ timidi che nelle balere si ancoravano a una colonna e lasciavano che a danzare fossero gli altri. Probabilmente non andrà al Milan, perché fino a quando (poche settimane) resterà Berlusconi, un comunista non invaderà Milanello. Potrebbe andare alla Samp, perché Mihajlovic finirà al Napoli, anche se il presidente blucerchiato Ferrero ha appena detto “Sinisa resterà al 70%”. Potrebbe andare al Genoa, se alla fine si consumerà lo strappo tra Gasperini e il Grifone. Potrebbe andare alla Fiorentina, perché Montella si è stufato. Potrebbe restare a Empoli, dove lo fanno lavorare, come sa fare. E dove un giorno, magari, potrà inventare qualcosa in un calcio dove ormai sembra ci sia rimasto poco o nulla da inventare. Al lavoro, tra uno schema e l’altro, il silenzio. A parlare ci pensino gli altri, allenatori -mediatici, allenatori-manager. Papaveri, mica carciofi.
Giampiero Timossi