Sarno, il Toro ritrova il suo piccolo Maradona
Arrivò come baby Maradona con tanto di presentazione sotto la curva granata in festa, ora ritorna come Vincenzo Sarno. Ci sono voluti dodici anni di sacrifici e oblio per liberarsi da certe etichette, e così ritrovare l'equilibrio perso durante l'infanzia con il più clamoroso caso mediatico di bambino-campione degli anni Duemila. Domani sera all'Olimpico, per la prima volta «Enzino» Sarno, fantasista 23enne in forza alla Reggina, giocherà contro quel Toro che l'aveva scoperto a dieci anni e lanciato (o forse bruciato) come il nuovo fenomeno del pallone. «Per me è un bel ritorno - commenta -, anche se il Toro è un rimpianto: era la mia grande occasione, ma sono arrivato troppo presto ed è successo un po' di tutto».
Quei giorni di fine gennaio 1999 sono ancora stampati nella mente di questo scugnizzo napoletano, scoperto all'epoca dagli osservatori granata nella degradata Secondigliano con lo scopo di modellare sotto la Mole il nuovo «Pibe de oro». Tutto fu così frenetico e assurdo allo stesso tempo. La trattativa a colpi di rialzi tra il Torino e il Napoli, le interviste sui giornali («Il mio lavoro è diventare un campione», furono le sue prime parole), i compagni della scuola elementare di Casalnuovo che lo salutavano con striscioni e abbracci («Ti ricorderai di noi quando sarai famoso?») e poi la partenza verso il Nord come un emigrante di lusso con tanto di giro di campo nell'intervallo di Toro-Cremonese al Delle Alpi.
Un circo mediatico era esploso attorno al «nuovo Maradona», al punto che il piccolo Sarno venne ospitato in diretta tv a «Domenica in» da Magalli e Galeazzi. Scoppiò il putiferio con le accuse di sfruttare un talento in erba, con alle spalle una storia difficile a livello familiare, per aumentare l'audience. «L'abbiamo invitato solo perché siamo favorevoli al ritorno del calcio parrocchiale», si giustificarono gli autori del programma di Raiuno, mentre Del Piero faceva gli auguri ed Anna Falchi stampava un bacio sulle guance. Non proprio un quadretto da oratorio.
«Ero solo un bambino - ricorda - e tutto sembrava una favola. Andai allo stadio e provai un'emozione unica per il calore dei tifosi: mi volevano davvero bene e per questo simpatizzo ancora per i granata. Con il tempo ho cercato di dimenticare quello che è successo dopo, ma non sono arrabbiato con il Torino. Sono in pari: mi ha dato e mi ha tolto».
Il sogno di «Maradonino» restò tale. La fama presto divenne pressione e poi nostalgia. Vincenzino, dopo due mesi e mezzo a Torino, decise di tornare a Napoli («Al telefono piangeva e mi chiedeva di tornare a casa», disse la madre) e stare con la sua famiglia. «Noi non lo tesserammo - ricorda Gigi Gabetto, all'epoca responsabile del vivaio granata - perché era troppo piccolo e infatti giocò solo alcune amichevoli. Aveva un grande talento, ma un fisico minuto. E poi vorrei sfatare un mito: non pagammo 120 milioni, ma io stesso firmai un assegno da 14 milioni. Soldi che non vedemmo mai più». Sarno nel 2001 passò alla Roma, ma dopo tre stagioni venne svincolato e così tornò nella sua scuola calcio «Gaetano Scirea» di Secondigliano, per poi passare nel 2005 alla Sangiovannese in serie C. Una gavetta dura, con passaggi a Giulianova, Potenza e Busto Arsizio, prima della chiamata della Reggina in serie B a fine gennaio e l'inizio di una nuova vita. O forse il proseguimento di quello che poteva essere nel Toro e non fu per colpa dei «grandi».