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    Sampmania: odio le partite delle 12.30

    Sampmania: odio le partite delle 12.30

    • Lorenzo Montaldo
    Già di suo, la Serie A all’ora di pranzo la odio. La inserisco stabilmente nella mia personale classifica di situazioni insopportabili, insieme ai piedi freddi, all’acqua sgasata, al sale sulla pelle, alla sabbia appiccicata nel costume e alla birra calda. Se poi la gara delle 12.30 propone un agghiacciante Benevento-Sampdoria, scavalca posizioni e si colloca sul podio delle cose sgradevoli. Uno vorrebbe solo rimuoverla il prima possibile, dimenticarla e passare avanti, sperando di incrociare un altro lunch match come quello di ieri nel duemilamai. Peccato, un paio di settimane e arriva l'Atalanta alle 12.30. Che vitaccia.

    La partita con la Juventus, secondo me, non si poteva considerare una battuta d’arresto. Affibbiare troppe responsabilità alla Samp sarebbe stato ingeneroso. Per la prestazione al cospetto del Benevento invece vale tutto un altro discorso. La sfida del Vigorito ha evidenziato una Sampdoria tremenda per lunghi tratti di incontro. Molle, noiosa, prevedibile, scialba e poco convinta. Non ne farei troppo neppure una questione di moduli, anche se mi pare evidente che i blucerchiati le cose migliori le abbiano elaborate mettendo in campo il trequartista con le due punte, piuttosto del consueto e banale 4-4-2, ormai letto con ampio anticipo da tutti gli allenatori. Il copione si è riproposto ieri. Doria scontato fino all’ingresso di Damsgaard e Verre, decisamente più pericoloso con il rifinitore alle spalle del tandem offensivo. Ma oramai non è più una novità. Il problema, però, non mi pare sia solo di modulo, quanto piuttosto di interpreti. 

    Il presunto divario tecnico, tanto celebrato e sventolato in sede di calciomercato, è rimasto evidente soltanto sulla carta. A Benevento non si è visto, anzi, se mai saltava agli occhi la compassata indolenza di alcuni interpreti della rosa genovese. Mi dispiace, ma io un pareggio con gli Stregoni non riesco a considerarlo un buon punto. Specie se matura in questo modo, e se è figlio di errori di interpretazione del match, scarsa volontà e atteggiamento rinunciatario. La Samp alla squadra di Inzaghi ha regalato una vittoria e un pareggio in due scontri diretti, e non penso di poterlo accettare di buon grado. 

    Cosa non ha funzionato? Credo che una formazione ormai arrivata a 26 punti non sia obbligata ad affrontare ogni avversaria in maniera chiusa, con l’atteggiamento della neopromossa alla ricerca disperata di risultati positivi. Soprattutto se l’avversaria ha la seconda peggior difesa della Serie A. Faticare 80 minuti per segnare un gol ai giallorossi lo trovo paradossale. Capisco difendersi con la Juve, ma a Benevento uno schieramento più offensivo, una maggior propensione all’azione manovrata, magari un rifinitore tra le linee non solo me li aspetto, ma li pretendo. Le avversarie non sono tutte uguali. Va benissimo preparare Atalanta, Inter, Milan, Roma così, ma le compagini inferiori per qualità e cifra tecnica non si possono aspettare nella propria metà campo per oltre un’ora, come se ci si trovasse al cospetto delle prime cinque della classe. Le due linee di centrocampo e attacco strette, quadrate e impaurite vanno bene se di fronte hai Ronaldo, Lukaku o Ibrahimovic, e sulle corsie corrono Hakimi, Theo Hernandez e Chiesa. Non mi sembrava una richiesta irragionevole augurarsi un minimo di intraprendenza e coraggio al ‘Vigorito’. 

    Che poi, la Samp di ieri non era nemmeno troppo quadrata e organizzata. Centrocampo e attacco risultavano piuttosto slegati e le sortite offensive, come spesso accade alla squadra di Ranieri, sono state affidate solo alle estemporanee giocate del Keita di turno o dello sfavillante Damsgaard, inspiegabilmente spedito in panchina nelle ultime tre uscite dei doriani. Sono convinto di un aspetto: la Samp attuale non può permettersi di rinunciare al suo giocatore più estroso e creativo. E poi, non mi dispiacerebbe vederlo alcune volte in più, anche perché temo manchino solo 17 partite alla fine della sua avventura a Genova.

    Se Damsgaard e Keita sono le note liete di giornata, quelle stonate portano i nomi di Thorsby, Candreva e Jankto. Tutti e tre sottotono, per un motivo o per l’altro, e tutti e tre poco incisivi. Il Doria avrebbe dovuto approfittare della traballante difesa del Benevento, attaccando sulle corsie e tentando di accentrarsi con gli esterni. Il ceco e l’ex Inter invece sono rimasti inchiodati sulla metà campo, e quando hanno tentato di sganciarsi hanno provato una marea di cross (11 in due) senza riuscire mai a impensierire Montipò. Per quanto riguarda Thorsby vale sempre il solito discorso: corre moltissimo, è un maratoneta, ma quando è in giornata ‘no’ e non azzecca un passaggio, diventa quasi deleterio. La sua fortuna è il dinamismo, utilissimo se di fronte hai Milinkovic-Savic o Barella, meno se fronteggi Schiattarella, Ionita e Improta, con tutto il rispetto per il terzetto di centrocampisti dei padroni di casa, autori oltretutto di una partita che avrei voluto vedere messa in pratica dai ‘colleghi’ blucerchiati. In avanti inoltre noto pochi scambi sincronizzati, difficoltà nel passaggio verticale e rari movimenti organizzati di reparto. La sterilità in fase di creazione ritengo dipenda dalla mancanza di alternative e vie di fuga a centrocampo se la manovra ristagna. Spesso il regista di turno si ritrova senza scarico in avanti, costretto a tagliare il campo per mettere in movimento gli esterni o a restituire palla alla difesa sperando nel lancio lungo di Yoshida, Colley o Tonelli. Per il sottoscritto si tratta di un sistema davvero poco stimolante e interessante, facilmente rintuzzabile da un allenatore preparato e da una squadra organizzata. Ma si tratta di un’opinione personale.

    La Sampdoria ha sottovalutato il peso specifico della trasferta di Benevento, ed è un peccato, anche perché ora arrivano Fiorentina, Lazio e Atalanta, prima del derby, ovvio. E’ un bel mattone da digerire all’ora di pranzo. Fortuna che il mio stomaco non teme rivali.

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