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    Sampmania: non c'è niente

    Sampmania: non c'è niente

    • Lorenzo Montaldo
    Questi sono i Sampmania che detesto scrivere. Sono qui, davanti al documento vuoto, e non so da dove cominciare per rimettere in ordine impressioni e sensazioni relative ad una partita francamente difficile da commentare. Torino-Sampdoria non è stato un match, sono stati novanta, penosi minuti dal canovaccio già scritto, un’angosciante discesa di due tempi, uno peggio dell'altro, in attesa del fischio finale. In prestazioni del genere, non c’è niente. Niente da salvare, niente da commentare, niente di cui discutere. Non ci sono aspetti positivi, mezze soddisfazioni da cui ripartire, nulla di nulla. Ci sono solo numeri, freddi, asettici ma taglienti, nella loro semplicità.

    Partiamo da qui, cominciamo dalle cifre. Sedici tiri totali a cinque, sei a uno (uno!) il parziale delle conclusioni in porta a favore dei granata. I dati del possesso palla sono impietosi: 64% a 36% per i padroni di casa, 575 passaggi a 315, quasi il doppio, con un tasso di precisione, per i blucerchiati, del 67%. Ma come si può pretendere di tenere anche solo vagamente in piedi una partita, con statistiche del genere? I numeri, però, non bastano a fotografare il vuoto pneumatico di questa Sampdoria. Il modulo iniziale, una sorta di 5-3-1-1 disorganizzato e velleitario, non fornisce spunti commentabili. Le distanze tra i reparti, i movimenti in sincrono, l’organizzazione in fase di possesso e i movimenti quando si tratta di difendere in maniera organica non possiamo analizzarli perché, molto semplicemente, neppure esistono. La Sampdoria dell’Olimpico era una amalgama poco riuscita tra giocatori demotivati, e tecnico in confusione

    Le 23 reti subite in 11 gare di campionato realizzano una quasi perfetta media di 2 gol incassati ogni novanta minuti. Eppure, bastava leggere l’archivio storico delle squadre di D’Aversa per farsene un’idea già a giugno. In questo Sampmania di fine giugno trovate tutte le mie perplessità in merito all’allenatore, ve ne cito solo un estratto: “Analizzando con maggior respiro la sua carriera, salta subito all’occhio un dato evidente, ossia l’alto numero di reti incassate dalle sue squadre: partendo dalla stagione più recente alla meno fresca sono 52, 57 e 61 in Serie A. Totale, 170 in 98 occasioni, con una media di quasi 2 ogni 90 minuti (1,73)”. Questo trend è stato confermato, se non addirittura peggiorato, dopo le prime 11 gare in Serie A alla guida della Sampdoria. Mi ero preso delle botte di ‘corvo’ e di ‘disco rotto’. Dura la vita, per noi pessimisti: prima ti preoccupi, e te lo menano, poi quando lo scenario predetto si avvera, ti incavoli come una bestia.

    Ieri l’allenatore della Sampdoria ha dato l’impressione di aver tolto del tutto le mani dal volante. La confusione, sublimata nel pasticcio Askildsen, è stata ulteriormente amplificata nel post gara.  La vicenda del centrocampista norvegese è solo un dettaglio nello sfacelo di Torino, ma è perfetto come esempio. Qualcuno si è affannato a spiegare la decisione con fantasiose ipotesi legate ai cartellini e all’ammonizione rimediata dal numero 16, tentando di farla passare come una scelta ponderata del tecnico. In realtà, il mister nel post gara ha spazzato il campo da ogni possibile equivoco: “Dovete essere sorpresi che non sono entrato in campo e non l’ho picchiato” ha commentato. “Vedo in lui delle qualità: quando faccio un cambio con un giocatore ammonito, bisogna dare l’anima. Era una segnale per lui, ma anche per gli altri. Bisogna onorare la maglia, una volta glielo dici con le buone ma quando entri in quella maniera devi dare l’anima”. L’indirizzo comunicativo, se possibile, rischia di fare persino più danni della mossa in sé. Ci sarebbero tanti altri punti su cui domandare spiegazioni: perché impiegare Thorsby quasi come una seconda punta, perché impostare una bizzarra linea difensiva a tre/cinque, lasciando completamente il campo al Torino, visto evidentemente come il City di Guardiola, perché andare a toccare, ad esempio, l’unico asse funzionante sino ad oggi, cioè la catena di destra Bereszynski-Candreva?

    Qualche attenuante, lo ripeto, D’Aversa ce l’ha. I tanti infortuni - anche su questo aspetto, ci sarebbe da indagare - hanno di sicuro complicato i suoi piani, resi ancor più complessi dalle scelte societarie e organizzative. La rosa della Sampdoria, costituita da doppioni e da parecchi giocatori non funzionali in alcune zone del campo, e altrettanto lacunosa in altre aree, è chiaramente inadatta e mal assemblata, oltre che mediamente vecchia nei tasselli cardine. In più la vicenda Osti, nonostante i goffi tentativi di minimizzare, magari pure screditando la figura dell’ex ds, ha con tutta evidenza influito sulla squadra e sul clima attorno a Bogliasco. Un amico mi ha fatto notare la curiosa coincidenza temporale: il licenziamento è stato ufficializzato il 1 ottobre, mentre le prime voci hanno iniziato a circolare attorno al 20 settembre, proprio dopo Empoli-Sampdoria, guarda caso l’ultima partita giocata bene, in maniera propositiva e organizzata, dai blucerchiati.

    Chiaramente, le responsabilità vanno equamente ripartite anche con la squadra, a partire dal portiere Audero per arrivare all’ultimo degli attaccanti. La sequenza di errori persino nei passaggi più semplici, nei tocchi più elementari e nella scarsa fisicità è abbacinante e lapalissiana. Così come è lampante la somiglianza tra la trasferta di Torino e un’altra trasferta di un paio di anni fa, quella a Verona con Di Francesco, l’ultima dell’ex Roma sulla panchina genovese.

    E ora? Come porre rimedio a questa situazione? La Samp pare andrà in ritiro. E’ solo un palliativo? Sì, ho paura di sì, anche se la partita con il Bologna è già quasi determinante. L’esonero? Temo non risolva niente. Sarei favorevole in caso di approdo a Genova di un profilo superiore, come lo sarei stato in estate se i blucerchiati avessero scelto un elemento più convincente per la panchina. Se il criterio adottato è solo quello del minor costo, però, fare meglio è difficile. Non vedo in giro alternative abbordabili, a prezzo contenuto, in grado di dare una sterzata netta ad una macchina che sbanda paurosamente. Voglio provare a fare l’ottimista, almeno per una volta. Magari il ritiro si rivelerà utile per restituire alla squadra la consapevolezza dello spaventoso burrone che si spalanca appena un paio di passi più in là. Come dite? Troppo pessimista? Speriamo.

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