Sampmania: la favoletta della buonanotte del 'boom di abbonati'
L’interrogativo è meno immediato del previsto, perché coinvolge una gran quantità di variabili, e soprattutto perché conduce a delle riflessioni ad ampio raggio. Come in ogni aspetto della vita, non esiste una causa, bensì svariate discriminanti. Negli ultimi anni, il numero di abbonati alla Sampdoria è drasticamente calato. Il dato più significativo è quello che mette a raffronto la stagione 2015/2016 e i successivi due campionati: nell’anno post Europa League gli abbonamenti furono 19.114, nella Serie A successiva – la prima con Giampaolo alla guida, figlia della doppia gestione tra Zenga e Montella – 16.789. Il 2017/2018 appena concluso ha fatto registrare un ulteriore calo: 16.635. Sono 2.300 in meno in soli 12 mesi, tra settembre 2015 e settembre 2016. Non una quisquilia, specialmente se si confrontano questi dati con quelli precedenti. La Sampdoria dal 2002 -ad eccezione ovviamente dell’ultimo biennio - era scesa sotto la soglia delle 18.000 tessere soltanto in tre occasioni: nel 2002-2003, l’ultimo anno di Serie B dell’era Garrone, nel 2006-2007 e nel 2011-2012, nuovamente in Serie B. Fa strano notare che nel campionato più duro della storia recente doriana, quello dell’interminabile cavalcata dalla cadetteria alla A, i sostenitori fidelizzati fossero comunque 17.044, più di quelli attuali. Per il resto, si ondeggia da picchi di oltre 20.400 abbonati (Anno Domini 2009-2010, indimenticabile per i tifosi doriani) sino ad un minimo di circa 18.000 per i primi dodici mesi di Ferrero alla guida della Sampdoria. Nulla a che vedere con i valori attuali.
Cosa è successo in questo lasso di tempo? Generalmente a Genova a questo punto della discussione ci si divide in due frazioni: ci sono i filosocietari, e gli anti Ferrero. Ridurre l’argomento ad uno scontro ideologico però è riduttivo. Ovviamente, il calcio ‘spezzatino’, assoggettato agli orari delle pay tv, ha influito sul calo. Eppure gli anticipi e i posticipi c’erano anche nel 2009-2010, o senza andare troppo lontani anche nel 2013-2014 quando la Sampdoria faceva 19mila abbonati. Il lunch match in Italia, per dire, esiste dalla stagione 2010-2011. Così come le partite al sabato, o le gare spalmate alla domenica. E’ evidente quindi che la causa principale non può essere questa. Altra obiezione frequente, l’aumento dei prezzi. Effettivamente, il costo è passato dai 140 euro in Sud e Nord nel 2011-2012 ai 215 in Sud di oggi (180 per la Gradinata Nord). E’ una cifra elevata senza dubbio – anche le agevolazioni donna etc sono molto meno vantaggiose rispetto ad alcuni anni fa – ma l’abbonamento alla Samp si conferma comunque come uno dei meno costosi di tutta Italia. In un recente studio pubblicato da CupoNation, piattaforma di risparmio, vengono paragonati tutti i prezzi annuali del massimo campionato italiano. Ci sono i casi limite di Juventus (595 euro) e Frosinone (30 euro), ma nel mezzo esistono tante altre realtà ben più care rispetto a quella blucerchiata: il prezzo più basso reperibile per assistere alla Serie A della Spal è di 335 euro, il Benevento ne chiede 300, Fiorentina Udinese e Genoa tra i 240 e i 250 euro. Più economici della Samp ci sono soltanto Sassuolo (155 euro) e Frosinone, appunto. E’ un argomento anche questo che può contribuire a spiegare il calo, ma non può essere la causa principale.
Già, ma allora? Quale può essere la motivazione alla base di una diminuzione che sembra inesorabile? A mio modo di vedere, bisogna ricercarla anche nelle pieghe psicologiche del tifo. Parlando con amici o semplici conoscenti ho notato una cosa: in molti hanno accusato parecchio l’andamento della Samp negli ultimi due campionati. I sostenitori doriani non hanno interesse a vedere una squadra che tira i remi in barca da gennaio in poi. Il ragionamento è molto semplice: pago 10 euro a partita per assistere ad uno spettacolo in due atti, andata e ritorno. Se l’esibizione dura soltanto un tempo o pago la metà, o non la guardo nemmeno. Ovviamente, questo concetto si scontra con quello che è il mantra del tifoso attaccato alla squadra: lo slogan ‘solo per la maglia’ è sempre vivo e radicato, tanto è vero che lo zoccolo duro dei 16.000 fedelissimi resiste strenuamente. Ma alle volte avere uno stadio pieno può essere la più potente delle motivazioni, anche quando la rilassatezza inizia a farsi strada nei giocatori. E questo rischia di diventare un circolo vizioso. L’identità, che oggi forse manca a livello di squadra, è un carburante da non sottovalutare.
Secondo aspetto di cui tenere conto è la difficoltà che riscontrano parecchi sampdoriani ad affezionarsi ai componenti della rosa. Fateci caso, giusto per rimanere in tempi recenti: la Sampdoria di Novellino non era poi così forte, ma tutti sorridiamo quando ci ricordiamo di Flachi, Bazzani, Conte e Volpi. Nella Sampdoria attuale, sono pochissimi i giocatori in cui ci si può riconoscere, quelli che ti portano ad affezionarti. La dinamica del mercato, così fluido e poco prevedibile, e la logica del ‘sono tutti cedibili’ toglie quella componente di immedesimazione che ha fatto sino ad oggi la fortuna del calcio, inteso come sport. Il player trading probabilmente paga sotto l’aspetto economico, ma ha effetti devastanti sulla fidelizzazione del pubblico. Prendete un bambino di oggi, come eravamo noi 20, 30, 40 anni fa. Io mi innamorai di Mancini e Montella, qualcuno di Cassano, altri di Chiorri, Cucchiaroni o Bernasconi. Tutta gente che a Genova, nel bene e nel male, ha segnato un’epoca. Un giovane blucerchiato di 4 o 5 anni oggi difficilmente potrebbe ritrovare un ‘idolo’ in cui riconoscersi. Quagliarella? E’ qua da un po', ma chissà se sarà ancora alla Samp tra dodici mesi. Viviano? Ceduto per scelta tecnica. E così via. Trovo un po’ difficile immaginare un bambino che si appassiona, che so, di Torreira, sapendo che a fine stagione sarà sicuramente ceduto. Lo chiamo ‘effetto Mihajlovic’: era il 1997, io da tifoso in erba volevo acquistare una maglia della Samp. Desideravo ardentemente quella di Sinisa, perché faceva sempre gol su punizione. Mio padre me la cassò lapidario: “Ma no, lascia stare che a fine anno se ne andrà. Prendi quella di Montella”. Andò così, ma l’effetto Mihajlovic mi torna utile oggi per descrivere il concetto.
Ovviamente poi le circostanze contingenti contribuiscono ad alimentare il fenomeno. Non lottare per un traguardo aiuta a ‘spegnere’ gli animi più tiepidi, la fatiscenza del Ferraris e la scomodità di movimento verso lo stadio fanno il resto. Intendiamoci, non dico siano condivisibili ragionamenti del genere, ma ognuno è libero di vivere il tifo e quelle due ore di svago settimanali come meglio crede. Penso anche che bisognerebbe incentivare la passione, non sacrificarla sempre all’altare della finanza e dei conti da ragionieri. Lo ripeto in continuazione, il tifoso per sua natura ha il dovere, non il diritto, di poter sognare. E non veniamoci a raccontare la favoletta del ‘boom di abbonati’. Le tessere sono in calo, una volta di più. E per una squadra come la Samp, è davvero un peccato.