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    Sampmania: i 4-4-2 non son tutti uguali

    Sampmania: i 4-4-2 non son tutti uguali

    • Lorenzo Montaldo
    Io ve lo avevo detto che la partita degli attaccanti sarebbe stata Empoli-Sampdoria. La gara con l’Inter non faceva testo. Impossibile giudicare la forma e l’intesa Quagliarella-Caputo se a marcarli hai tre colossi bravini, usiamo un eufemismo, nell’uno contro uno. Il vero banco di prova si chiamava Castellani, e due ‘vecchietti’ - con alle spalle quasi 1.100 presenze in due tra i professionisti - certe occasioni non le sbagliano. La partita con i toscani sì, era un match da furbacchioni d’area. Deduzione abbastanza semplice, nulla di trascendentale. L’Empoli, compagine modesta in difesa, gioca di rimessa e si affida alle costruzioni delle due-tre individualità più interessanti a sua disposizione. Tanti lanci, poca trama. Non è una colpa, si fa ciò che si può con il materiale a disposizione. La retroguardia di Andreazzoli ieri restava spesso bloccata fuori posizione, staccata dal centrocampo, e faticava parecchio a riprendere la posizione. Per una squadra come la Sampdoria, è un invito a nozze. Facilissimo per i blucerchiati innescare le punte con un passaggio filtrante. Andando solo così a memoria ricordo almeno tre circostanze in cui un doriano a scelta tra Candreva, Damsgaard e Quagliarella ha lanciato l’attaccante di turno, tagliando fuori per intero il reparto arretrato dei padroni di casa.

    Che bella Sampdoria, finalmente. Tre indizi fanno una prova, si dice, quattro invece rappresentano un mattoncino da collocare per iniziare a costruire qualche certezza. Faccio subito un’ammissione di colpa, quando è arrivato D’Aversa io ero piuttosto scettico. Le mie perplessità non erano legate a pregiudizi, non avevo nulla contro di lui, ma ad un’analisi di numeri e prestazioni del passato, non particolarmente convincenti. Come me, i dubbiosi erano tanti, anche se ora immagino spariranno tipo neve al sole. Invece l’allenatore nato a Stoccarda, passettino dopo passettino, ha incrinato le mie idee. E meno male. Ci è riuscito proponendo una squadra organizzata, determinata, concentrata, imbevuta di alcuni concetti piuttosto chiari. Ha lavorato su un modulo, il 4-2-3-1, forse troppo offensivo e sbilanciato, ma lo ha corretto in corsa modificandolo in un 4-4-2. Attenzione però, guai a confondere 4-4-2 e ‘vecchia scuola’. Non sono sinonimi. Il 4-4-2 proposto da D’Aversa, ad esempio, è piuttosto atipico. Tutt’altra cosa, paragonato al canonico schieramento di Ranieri. Le cifre sono le stesse, è vero, ma insomma, scopriamo l’acqua calda: i 4-4-2 non sono tutti uguali. 

    Fateci caso, rispetto al sistema a cui eravamo abituati, le differenze sono abissali. L’interpretazione del ruolo di esterno, per esempio, è diametralmente opposta. Damsgaard e Candreva non partono con i piedi sulla linea ma si accentrano, giocano vicini, spesso si ritrovano a fare entrambi i trequartisti quando la palla ce l’ha la Samp. Gli attaccanti non si posizionano su una linea tirata con il righello, legati da un cavo d’acciaio immaginario, o al limite in precisa fila indiana. Le due punte di D’Aversa si scambiano di posizione, invertono il piede, si lanciano in avanti quando vedono la profondità e occupano spazi e opportunità, senza canoni rigidi. Tale fluidità interpretativa si riflette su altri aspetti della costruzione: i terzini non sono chiamati per forza ad aspettare l’esterno di competenza per attaccare, concedendosi al massimo qualche sovrapposizione. Anzi, vengono invitati a buttarsi oltre il centrocampo, per andare a riempire le pianure lasciate libero da Damsgaard da una parte e da Candreva dall’altra, quando il danese o l’italiano si accentrano come rifinitori aggiunti. Tanto è vero che l’avvio di stagione di Augello e Bereszysnki è stato forse il migliore da quando vestono la maglia blucerchiata. Mi sta convincendo in particolare il polacco: chiude, riparte, sembra persino aver migliorato la tecnica.

    L’aspetto più positivo di una partita alle 12.30 è che, se la gara è noiosa e non hai impegni lavorativi di sorta connessi al match, puoi lasciarti andare ad un abbiocco postprandiale degno di nota senza troppi sensi di colpa. Con Empoli-Sampdoria il rischio c’era. Eppure, anche sullo 0-3, a risultato congelato e a pennichella legittimata, il problema non si è posto. Merito di una squadra frizzante e organizzata, anche dopo i cambi, oggi piuttosto limitati e contati. In parecchi hanno fatto un partitone: Candreva e Caputo, certo, ma pure Silva, Thorsby, lo stesso Quagliarella, l’intera linea difensiva… A proposito di Candreva, vi svelo un segreto: la sua super prestazione è merito mio. In un gruppo Whatsapp, con amici sampdoriani, dopo dieci minuti di gioco, al secondo o terzo cross sparato dal numero 87 sul portiere o fuori misura, ho scritto qualcosa tipo: “Ma ce la può fare Candreva a fare un cross oggi o al centesimo sulla schiena del difensore vince un premio?” Da quel preciso momento in poi, ha fatto il fenomeno. 

    Troviamo un aspetto un po’ controverso? Sì dai, altrimenti il mio animo mugugnone non si sente appagato. Ok, allora è il momento di Damsgaard. Fino ad oggi, dico la verità, non è stato un talento in grado di entusiasmarmi. Lo dicevo pure l’anno scorso in tempi non sospetti, ha splendide qualità tecniche ma lo vedo ancora molto incompleto e, soprattutto, discontinuo. Eppure mi pare che ora ci sia una sorta di accanimento terapeutico nei suoi confronti. Sembra diventato il (facile) bersaglio per critiche a volte ingenerose. Ieri a Empoli non ha certo fatto il Candreva, ma a differenza delle ultime partite l’ho visto più concentrato quando si trattava di recuperare il possesso andando in pressione sulle rare sortite avversarie. E quando ha la palla al piede, fateci caso, il primo uomo lo salta sempre. Continuo a credere giochi in una posizione non sua, ma questa ormai è una mia battaglia personale. Anzi, ora che ci penso, potrei fare come con Candreva. “Ma secondo voi Damsgaard prima o poi lo farà un gol o aspettiamo il 2022”? Ha visto mai...

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