AFP via Getty Images
Sampmania: ho cambiato posto, e credo non mi sposterò più
Inaspettato come un bel regalo nella calza della Befana, dove di solito si trovano soltanto boiate assortite, i tre punti con l’Inter sono davvero uno splendido presente per la Sampdoria. Nessuno credo avrebbe puntato un centesimo sulla vittoria blucerchiata all’Epifania. Battere l’Inter significa spruzzare una dose massiccia di fiducia e tranquillità addosso ad una squadra che, in questo momento, di serenità ha un gran bisogno, considerando la tremolante e incerta situazione societaria, evidente a tutti tranne a quei due o tre fantasmi incapaci di godere dei successi ed incavolarsi per le sconfitte senza trascinare in ballo l’attuale presidente della Sampdoria. Chissà come riusciranno a tirare avanti, se e quando Ferrero abbandonerà Genova e la Samp. Pazienza, problemi loro, tra bilanci, conti, mercato e notizie sul Palermo avranno un bel da fare.
Parliamo di calcio, oggi sono felice, e mi va particolarmente. Come ha fatto la Samp a schiantare l’Inter? C’è riuscita grazie al solito 4-4-2 e al consueto ‘difendi e riparti’ di Ranieri rimasto, nel bene come nel male, sempre alla base di successi e sconfitte. Non è che all’improvviso i blucerchiati siano diventati il Barcellona, il 2-1 rifilato ai nerazzurri non è figlio di chissà quali invenzioni, o di particolari tattiche avveniristiche. Il Doria ha giocato come sempre, chiusura e contropiede. Ieri però lo ha fatto in maniera quasi perfetta, senza il minimo errore. Il possesso palla è rimasto basso, attorno al 38%, idem il computo dei tiri in porta: tre in totale, due in gol. L’Inter ne ha fatti 7 nello specchio, e 24 complessivi, rischiando di trovare la rete in almeno 4-5 circostanze. Già ma allora, cosa è cambiato?
Innanzitutto, la differenza marchiana si ritrova nel ritmo. La Samp ha giocato un gran primo tempo per intensità e precisione, sbagliando pochissimo, pressando alto e schiacciando la squadra di Conte. Ovvio, il Doria ha sofferto molto nella ripresa, era prevedibile. Eppure i giocatori genovesi sono riusciti a reggere l’urto, e questo è un merito non da poco. I nerazzurri erano partiti a razzo in avvio, convinti e determinati, e in tutta onestà nel primo quarto d’ora temevo l’episodio in grado di spezzare l’equilibrio del match, rompendo gli argini della difesa dei padroni di casa e dando il via ad una giornataccia. Ecco, immaginatevi il mio scoramento quando Valeri ha fischiato il rigore a Thorsby. Le mie peggiori paure si sono materializzate tutte insieme.
Ho avuto terrore del gol, lo confesso, e qui entra in gioco la seconda componente, ossia un portiere determinante ai fini del risultato. Secondo me, Audero è uno degli elementi ad aver giovato maggiormente dell’assenza di pubblico. Mugugni e muggiti si sono azzerati, restituendo tranquillità al numero uno doriano, ad oggi forse l'Mvp della stagione. Le sei (sei!) parate di ieri ne sono la perfetta sintesi. Lasciate stare il rigore neutralizzato, quello è l’evento eclatante. A Roma e con l'Inter, se mai, l’aspetto da sottolineare è l’estrema tranquillità e il perfetto tempismo su uscite alte e cross. Con sfera viscida, campo bagnato e pioggia negli occhi, ogni palla è un terno al lotto. Lui non ne ha sbagliata una.
Non bastano però un grande portiere, l’imprecisione degli attaccanti ospiti e un po’ di fattore C - era l’ora - a giustificare una vittoria di questo blasone. C’è dell’altro, e quel qualcos’altro si chiama Mikkel Damsgaard. Il rigore di Candreva è un episodio, girato dalla nostra parte, il raddoppio invece è semplicemente un'invenzione del danese. Il triplo dribbling l’ho riguardato in loop un paio di volte, la prima parte dell’azione, con l’accenno di finta di corpo per mandare al bar i due in pressing, mi ha ricordato da vicino quelle dell’ultimo, vero fuoriclasse transitato da Genova (piccolo indizio, aveva il 99). Eppure, più che sul movimento simulato per mandare fuori giro Gagliardini, o sul dribbling quasi irridente nei confronti di Bastoni, vorrei porre l’accento sul passaggio confezionato da Damsgaard a Keita per concludere l’azione. Per tenere quel pallone basso, coordinandosi in caduta e in pieno slancio a venti centimetri dalla linea di fondo, mettendola alla perfezione sul destro del compagno, con la velocità giusta, serve una sensibilità fuori dal comune. Damsgaard va ancora un po’ a fiammate, ma quando si accende è un faro.
I due episodi hanno incanalato la sfida nel verso giusto, il resto lo hanno fatto un attacco confusionario e poco organizzato dell’Inter, uno strepitoso Audero e, perché no, un paio di belle botte di posteriore. Non è una critica, eh, anzi, è un complimento: vincere una partita così è cento volte più difficile rispetto a portare a casa il risultato dipingendo calcio e dominando. Ci vuole molta forza mentale, e per la corsa salvezza questo è un gran bel segnale. Quando si soppesa un match del genere va tenuto conto per forza di cose della caratura degli avversari, presi uno ad uno tutti di gran lunga superiori ai doriani, riserve comprese.
Attenzione però, perché adesso c’è lo Spezia. Io l’ho visto, contro il Napoli, e vi garantisco, è una squadra che a calcio ci gioca eccome, peraltro meglio della Samp a livello corale. Guai a calare l’attenzione, perché questi vincono a Napoli in dieci, contro una formazione non paragonabile per individualità e interpreti. E’ proprio quanto fatto da noi battendo l’Inter. Italiano però ci riesce perfino con calciatori inferiori rispetto a quelli a disposizione di Ranieri, ma estremamente indottrinati e ben sistemati in campo. Vietato scordarlo, perché la partita da vincere è la prossima, e perché la compattezza e l'organizzazione corale delle avversarie sono le discriminanti maggiormente sofferte dalla Samp in questa stagione. Anche se, va detto, tra i modi per iniziare il 2021, 20 punti alla sedicesima giornata - e il mio cambio posto - sono il migliore.
@lorenzomontaldo
@MontaldoLorenzo