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    Sampmania: come una medicina amara

    Sampmania: come una medicina amara

    • Lorenzo Montaldo
    Perdonatemi se questo Sampmania non sarà memorabile. Però concedetemelo, anche perché la materia prima, ossia Sampdoria-Spezia, non resterà di sicuro negli annali tra i match più speciali della storia blucerchiata. Al Ferraris ieri sera si è visto pochino. Vero, il prodotto dell’infrasettimanale sono stati quattro gol, ma vi confesso una cosa: ad un certo punto ero quasi più attratto dai risultati degli altri campi, che non dalla sfida tra blucerchiati e bianconeri. Vuoi per motivi fantacalcistici, lo ammetto, vuoi per i roboanti punteggi e l’avvincente corsa salvezza, rimasta ormai unico vero stimolo del campionato. Ah, belli i tornei a 20 squadre, eh? Ma questa è un’altra storia, e per fortuna quest’anno non ci riguarda. 

    Il confronto di un match tra una squadra in ciabatte e una in piena corsa per la permanenza in Serie A ha partorito una gara accartocciata e stropicciata, difficile da analizzare in maniera organica. Nei primi venti minuti lo Spezia ha tenuto il pallone senza quasi farlo vedere alla Sampdoria, nonostante un tasso tecnico inferiore nei piedi degli interpreti, ma superiore a quello blucerchiato in relazione alle porzioni di campo occupate, ai tempi di scarico del pallone e ai movimenti senza palla. Piccoli e Farias si sono divorati due occasioni che, se costruite da una squadra con giocatori di un segmento superiore, avrebbero facilmente portato gli ospiti sullo 0-2. A sbloccare l’incontro ci ha pensato Pobega, ma la rete ha sortito l’effetto contrario, risvegliando dal torpore la Samp. A quel punto, i blucerchiati hanno iniziato a spingere, seppur in maniera poco disciplinata e corale. Il pareggio ad esempio nasce da un bel movimento di Gabbiadini ad attaccare lo spazio (intuizione innata, o ce l’hai o non ce l’hai) e da un rimpallo persino più preciso di un passaggio. 

    Lo Spezia non si è snaturato dopo l’1-1, ma ha continuato a seguire i diktat tattici del suo allenatore, capace di teleguidare una formazione altrimenti modesta per cifra qualitativa, ma ben disposta al sacrificio e abile a valorizzare le due-tre individualità interessanti a disposizione. Sarei curioso di vedere Italiano con una squadra più importante e interpreti superiori.  L’altro grande merito dello Spezia è stato quello di approfittare delle sbandate di una linea difensiva sfilacciata e poco concentrata senza Colley, insistendo sui punti deboli blucerchiati e trovando il raddoppio. Nella marcatura di Pobega c’è molto del modo di intendere la fase difensiva da parte dei blucerchiati: Bereszynski è fuori posizione su un lancio, Yoshida affonda l’intervento e si lascia saltare secco dal numero 26 bianconero, libero poi di battere a rete da due passi. Il merito della Samp, in questa circostanza, sta in una reazione rabbiosa e di nervi, principalmente affidata all’ingresso di un volitivo Keita. Anche in questo caso, però, non ci si può esimere dal sottolineare il modo in cui nasce il gol: pallone messo dentro da un campanile di Candreva, tocco di Yoshida, rimasto al centro dell’area di rigore, e picchiata del numero 10 ad avventarsi sulla sfera. Di costruito, dovete ammetterlo, dà l’idea di esserci proprio poco. 

    In fin dei conti, sotto ad una certa luce quello di ieri può persino essere considerato un risultato soddisfacente. Con questo punticino, strappato dalla sassata di Keita, il Doria salva la faccia e centra il risultato, ossia certifica la superiorità stagionale non solo a livello cittadino, ma pure regionale. Ecco, anche in questo aspetto c’è tutto Ranieri, nel bene e nel male. Claudio dal Testaccio porta a casa senza patemi particolari l’obiettivo stagionale, salvandosi senza soffrire, e si assicura lo scudetto regionale, ormai rimasto l’unico misero ‘trofeo’ a disposizione. Lo fa senza però aver vinto neppure uno scontro diretto sui quattro stagionali, cinque considerando la Coppa Italia, e con rari picchi di divertimento e bel gioco. Forse, anzi, certamente considerando tutto il contorno, è un gran risultato. Come una medicina amara, in grado di salvarti la vita. Però, non potete costringere tutti a leccarsi i baffi e a sorridere, mentre la mandano giù.

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