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Sampmania: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?
In realtà, possiamo porci queste tre domande esistenziali anche per la Samp. L’unica che ha risposta è la seconda: da dove veniamo lo abbiamo capito piuttosto bene. Siamo reduci da un ondivago veleggiare tra l’esaltazione più intensa e la rabbia più feroce. La Sampdoria ormai fluttua in maniera quasi bipolare tra vette di calcio splendido e tonfi assordanti, perché quando si cade dall’alto si fa ancora più rumore. I blucerchiati hanno scordato il ‘giusto mezzo’, la teoria aristotelica che colloca la virtù a metà strada tra l’esagerazione e l’insufficienza. Un concetto sviluppato pure da Confucio, e che a volte bisognerebbe ricordare anche a Genova. Gli altri due interrogativi - chi siamo e dove andiamo - non hanno soluzione. E sono strettamente collegati l’uno all’altro.
Chi è, la Sampdoria deve ancora scoprirlo. Non lo sanno i giocatori, e probabilmente neppure lo stesso Giampaolo. Di sicuro non lo so io, e nemmeno i tifosi. Siamo la squadra che schianta il Milan e batte la Juve, giocando il calcio più bello visto a Genova negli ultimi anni, o siamo la formazione che barcolla contro l’Udinese, prende schiaffi dal Sassuolo e neppure entra in campo contro il Benevento? Attualmente è un mistero. Da sette giornate la Sampdoria non si trova più. Ha ottenuto 4 punti, una miseria, frutto di un successo fortunoso – se non la sblocca Quagliarella su rigore allo scadere, la partita con la Spal è un pareggio scritto – e della rimonta subita a Cagliari. Le cinque sconfitte, invece, gridano vendetta perché hanno portato la Samp a dilapidare un capitale importantissimo per la corsa all’Europa. Questo non è più un ciclo, è una crisi, e per certi versi la sosta arriva in un momento importantissimo per la formazione blucerchiata. Ecco, dopo la pausa la Sampdoria potrà capire chi è, e pure dove va.
Il ciclo è terribile. Fiorentina, doppio scontro con la Roma (bizzarrie di un calendario costipato) e Torino in casa: Giampaolo si gioca tantissimo, forse più di quello che possiamo immaginarci. Da queste quattro partite si capirà anche cosa vuole fare da grande il tecnico doriano. La sosta – che io, come tutti, detesto – può essere la fortuna della Samp, perché al di là dei limiti caratteriali e mentali è evidente il problema blucerchiato. Il Doria è una squadra stanca, che per rendere deve giocare sempre ad altissima intensità. Non ha il cinismo di una grande squadra, né la classe pacata della Fiorentina vecchia maniera. La Samp non ha il sacro furore agonistico dell’Atalanta, una realtà irripetibile dovuta a una congiunzione di concause più uniche che rare, e non ha la qualità nei singoli della Lazio. La peculiarità di questa squadra è l’intensità, il ritmo martellante del centrocampo che corre, pressa e imposta, e un impianto di gioco ben chiaro e definito. Quando manca una di queste componenti la Sampdoria va fuori giri, e diventa una formazione normale e prevedibile. Se la sosta ci restituirà dei giocatori freschi e consentirà il pieno recupero di alcuni titolari, credo che potremo tornare a divertirci. Lo Zapata di inizio stagione è troppo importante per questo Doria, così come è fondamentale avere Linetty e Strinic a pieno regime, Torreira e Praet riposati, Quagliarella tirato a lucido e Ramirez in forma. Poi starà a Giampaolo studiare qualche accorgimento per impedire ai blucerchiati di ricadere nella spirala autodistruttiva in cui sono sprofondati. Appuntamento tra undici (lunghissimi) giorni, con un’unica speranza : che la Samp possa finalmente capire chi è, e soprattutto dove vuole andare.