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Pagliuca: 'Ho pianto con Vialli e Mancio, abbiamo una chat con lo stemma della Samp'
Pagliuca però, sulla notte di Wembley della Samp, ha un’opinione particolare sul percorso di Mancini: “Credo che se anche quella sera avessimo battuto il Barcellona non sarebbe cambiato molto per lui: di sicuro non la sua voglia di vincere. Quella partita per la Sampdoria era un punto di arrivo, ma dopo aver perso un’occasione irripetibile è diventata anche una ripartenza. E lui è ripartito un sacco di volte, da giocatore e poi da allenatore. Staff sampdoriano? E’ stato bravo anche in quello. Lui ha bisogno di avere vicino solo quelli di cui si fida ciecamente, sceglie di circondarsi di persone che anzitutto lo capiscano. Nella vita, ma anche nel calcio: Chicco, Attilio, Fausto, Giulio, Massimo sono con lui da una vita, non può sbagliarsi. Roberto ricorda tutto e d è molto generoso con chi ha rispetto di lui: quando decide che uno per lui è amico, è amico”.
Quella Samp era speciale: “Spesso si dice ‘come una famiglia’, ma è una frase fatta. Non per noi: in quella Samp ci si voleva bene come fratelli, ci si rispettava come parenti. E ci si ritrovava sempre nella stessa casa, noi del nucleo storico: io, Mannini, Vierchowod, Pellegrini, Lombardo, Mancio, Vialli. E quando arrivava qualcun altro gli aprivamo la porta. Toppo idilliaco? Rispetto, amicizia, ma ognuno aveva il suo carattere. La sua personalità, soprattutto: quasi tutte forti. Si vedeva anche in campo: chiamiamole incomprensioni, scambi di opinione, ma ci si mandava proprio a quel paese”.
Non tutto rose e fiori, fuori dal campo: “Anche litigi brutti: non roba da mettersi le mani addosso, ma quasi. Uno pesantissimo fra me e Vierchowod, uno del Mancio sempre con Pietro. Ma faceva bene anche scazzarsi, ogni tanto. Come scherzare, e lo facevamo spesso. Vialli aveva la personalità più forte, poteva permettersi di farci quasi qualunque cosa. Ma il più matto era Lombardo: anche oggi credo. Roberto era diverso. Gli piaceva ridere, ma era più timido, stava più sulle sue. Robi parlava poco e pesava molto. Cambiato? Molto non so, ma è cambiato: più tranquillo, pacato, disponibile. In campo succede raramente di vederlo nervoso, una volta succedeva il contrario: era un’eccezione quando non lo era, aveva il suo caratterino. Tanto se esagerava ci pensava lo zio Vuja”.
“Boskov era quello che ci teneva tutti attaccati. Il numero uno assoluto nella gestione del gruppo, a modo suo: grande rispetto per i giocatori più esperti, faceva finta di dare la colpa ai più giovani ma poi coccolava pure loro. Sempre tranquillo, l’aplomb di chi ha in mano il controllo della situazione. E funzionava. Mancini da Boskov ha imparato che avere un gruppo forte e saperlo gestire bene può essere la tua arma migliore. Mancini alla sua Nazionale ha dato grande tranquillità e ha insegnato il senso della forza di essere tutti dalla stessa parte. Ho visto anche qualche allenamento della squadra: clima splendido, tutti sereni, uniti. Anche in questo Roberto è stato perfetto. Ha sempre avuto in testa di allenare la Nazionale ed è sempre stato sicuro della forza del suo lavoro: sapeva di arrivare lì nel suo momento migliore, con tanta esperienza nei club alle spalle, e aveva visto prima come sarebbero diventati certi giocatori".
Come sono oggi quei giocatori della Samp, a distanza di 30 anni? “Un po’ più vecchi, ma sempre uguali, con la stessa voglia di stare insieme: è una cosa rara, ma quella Samp era una cosa rara. Ci ritroviamo a cena ogni tre-quattro mesi e ci siamo sempre quasi tutti, poi quando non ci vediamo ci scriviamo. Abbiamo anche noi una chat su whatsapp, immagine del profilo lo stemma della Samp. Già da prima dell’Europeo scriviamo a Roberto alla vigilia delle partite, a un certo punto è diventata una scaramanzia: primo messaggio di uno, tutti a ruota, e non c’è stata una volta che lui non abbia risposto. Mai. Anche domenica, nonostante credo avesse sul telefonino 7-800 messaggi: ci ha ringraziato con dei cuori”