Samp, Mihajlovic si racconta: 'Non ho mai perso una guerra'
Il tecnico della Sampdoria Sinisa Mihajlovic ha rilasciato una lunga intervista a Il Secolo XIX. 'I giocatori mi stanno seguendo e questo è il punto fondamentale: vederli convinti di quello che fanno - ha spiegato il serbo -. Ho lavorato molto sulle teste, c'era bisogno di tirarli un po' su, di ridargli fiducia e ritrovare la tranquillità. Senza non si va da nessuna parte. Mourinho ha schierato Eto'o terzino destro perché è riuscito a fargli capire che, in quella partita, era utile per la squadra che giocasse lì. Sono sicuro che più lavoreremo, più assimiliremo quello che voglio e più arriveranno i risultati, che sono quelli ti danno fiducia e coraggio. Ci vuole anche un'altra cosa a volte: un po' di culo. Anche se è quello sul quale non possiamo fare affidamento. Ci saranno momenti difficili nella nostra stagione, ma mai dovremo smettere di credere o esser convinti che ci salveremo. E dovremo mettere da parte ogni tipo di personalismo, discorsi sul mercato o contratti. La Sampdoria viene prima di tutto e tutti. Il mercato? Parlerò con la società. Sono arivato da poco, ho appena iniziato a conoscere i giocatori. Con qualcuno ho parlato singolarmente... adesso c'è la Coppa Italia e darò spazio a chi finora ne ha avuto di meno. Trenta, trentuno giocatori sono tanti: si gioca in undici. Per noi allenatori è brutto costringere qualcuno alla tribuna e ogni partita devo farlo con cinque o sei. Per un giocatore è brutto dovere aspettare un'occasione ogni tanto. Bisogna adeguarsi alla situazione, bisogna sfoltire'.
A proposito della sua filosofia nello spogliatoio, Mihajlovic ha chiarito: 'Io sono cresciuto nella scuola dell'Est: a quei tempi, quelli del comunismo, il giocatore di calcio era un po' come un soldato, doveva obbedire e basta. Quando sono arrivato da voi, mi sono accorto che qui i giocatori invece parlavano con l'allenatore. Io oggi capisco se un giocatore chiede spiegazioni, ma poi deve fare quello che gli chiedo. E' primario e non transigo. Senza disciplina, non si va da nessuna parte, nel calcio e anche nella vita. E comunque, ho sempre parlato chiaro con tutti: si può discutere il Mihajlovic allenatore, ma non l'uomo. Il mio passato a Genova? Ho avuto dei flash. Ad esempio durante il tragitto in pullman dall'Astor al Ferraris, oppure qui al campo. Non ricordo ancora bene le strade, anche se Genova ne ha praticamente due: Corso Italia e Corso Europa. Se padroneggi quelle, arrivi quasi ovunque. Il mio fischietto? Ce ne aveva uno simile Boskov: è d'argento, un regalo di Mancini quando sono diventato suo vice all'Inter. E lo porto sempre con me'.
'La mia vita è un susseguirsi di battaglie e guerre; a volte, me le creo anche da solo - le parole di Mihajlovic -. Ad esempio, qui al Mugnaini corro da solo un'ora al giorno e penso. Mentre corro, una vocina mi dice: Ma perchè continui a correre, chi te lo fa fare... fermati, fermati... Non mi sono mai fermato. Non mi piace perdere, nemmeno quando gioco a carte. Ho perso qualche battaglia, ma mai la guerra. Nella vita professionale e in quella privata. Potrà anche succedere che un giorno tra qualche anno ne perderò una... ma anche no. Mancini? Per il lavoro sul campo, è quello che mi ha insegnato di più. Ma sono diversi gli allenatori dai quali ho cercato di prendere qualcosa: Zaccheroni, Zoff... Beh, Sacchi. Quando ero a Firenze, ogni due settimane andavo a trovarlo a Coverciano, dove si parlava di calcio, ovviamente. A me davano fastidio gli allenatori che, dopo una sconfitta, erano morti o tristi. Io lo dico sempre ai miei giocatori: mi potrete vedere incazzato, ma triste mai. Un match di calcio è come una partita a scacchi, perchè vivi di mosse. Proteggi il re, attacchi la regina, muovi il pedone. Un libro di calcio ad esempio è anche L'arte della guerra di Sun-Tzu'.