Sacchi e Ancelotti:| Milan, leggende a confronto
«Dopo aver visto questo Milan il calcio non potrà essere più lo stesso» scriveva l’Equipe il 25 maggio 1989, all’indomani della finale di Coppa Campioni, vinta per 4-0 dai rossoneri contro lo Steaua Bucarest. Lunedì 23 maggio alle ore 22.00 quel Milan stellare rivive in 1ª tv su ESPN Classic (canale 216 di Sky) nello speciale «Milan Story: Sacchi e Ancelotti». Negli studi londinesi di ESPN le due leggende rossonere ripercorrono, attraverso immagini d’archivio intervallate da gustosi fuori onda, prima le imprese del Milan dal 1987 al 1991 (con Sacchi in panchina e Ancelotti a garantire quantità e qualità in mezzo al campo), poi i successi rossoneri dal 2001 al 2009 sotto la guida di Carletto. Ecco uno stralcio delle dichiarazioni rilasciate da Sacchi e Ancelotti ai microfoni di ESPN Classic:
Quando nell’estate del 1987 siete entrati a far parte della famiglia del Milan che cosa vi ha colpito maggiormente?
Sacchi: «La società. Guidata da un presidente che aveva un sogno: quello di costruire la squadra più forte del mondo. Ho trovato un gruppo che aveva voglia di stupire, composto da veri professionisti che volevano non solo vincere, ma anche convincere. Tutti volevano essere interpreti di un calcio spettacolare, in grado di uscire fuori dalla tradizione italiana».
Ancelotti: «Il presidente Berlusconi. Aveva un entusiasmo grandissimo e una grandissima forza di volontà. All’inizio diventava anche difficile capire che cosa volesse fare. Perché il presidente voleva vincere subito il campionato, la coppa dei campioni e la coppa intercontinentale. La sua ambizione ha contagiato subito tutta la squadra».
Primo campionato di Sacchi sulla panchina del Milan e subito scudetto. Come siete riusciti nell’impresa?
Sacchi: «Grazie alla nostra organizzazione. Tutto funzionava veramente alla perfezione, non c’era mai una sovrapposizione fuori dal campo, in campo si però (ride; ndr). Il presidente faceva il presidente, l’amministratore delegato faceva l’amministratore delegato, l’allenatore faceva l’allenatore. Una svolta c’è stata subito alla seconda giornata di campionato. Dopo aver battuto il Pisa all’esordio, perdemmo 2-0 in casa contro la Fiorentina, ma giocando bene. Van Basten mi criticò. La settimana successiva, a Cesena, non lo schierai tra i titolari e gli dissi: “Vedo che sai molto di calcio, vieni in panchina così mi dici dove mi sbaglio”. Avevo bisogno di mandare un
messaggio chiaro alla squadra e di sottolineare che la leadership non l’avevano i giocatori, ma la società. E io ero l’uomo della società per le questioni tecniche. Né Berlusconi, né Galliani furono contenti di quella mia scelta, ma mai l’hanno detto per non togliermi autorevolezza».
Ancelotti: «Con il nostro gioco. Andavamo in campo sapendo perfettamente quello che dovevamo fare. E sapere che quello che avevi fatto in passato aveva creato così tante difficoltà agli avversari ti dava sicuramente molte più certezze e convinzioni. Che avessimo contro Maradona o un qualsiasi altro giocatore per noi era indifferente. Giocavamo sempre allo stesso modo. Cercavamo comunque di fermarlo attraverso il nostro gioco, non attraverso una ferrea marcatura».
Carlo, da allenatore qual è stata la più grande soddisfazione che ti sei tolto sulla panchina del Milan?
Ancelotti: «Mi sono preso delle gran belle rivincite contro Liverpool e Boca Juniors. Contro queste squadre ho prima perso e poi vinto una coppa campioni e una coppa intercontinentale. Chi mi ha fatto un “torto” l’ha poi pagato a caro prezzo (ride; ndr).
Sacchi: «Nella stagione 2006/2007 culminata con la vittoria della Champions League, a Milano, in semifinale contro il Manchester United, il Milan di Carlo ha giocato, secondo me, una delle due o tre partite più belle di tutti i tempi. Ero a vedere la partita e mi è venuta la pelle d’oca».