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Sabatini: se Garcia resta per l’abbraccio di Florenzi, la Roma sbaglia ancora
Tutto molto bello, e non solo per gli sviolinatori dell’apparenza. Nulla di meglio, quando una squadra è compatta a sostegno del proprio allenatore. Si osserva e si dice: il gruppo c’è, lo spogliatoio è unito, l’armonia regna. E avanti così, anche se il pubblico (poco) di Roma vede e fischia. Perché tifare è partecipare, ma anche criticare. Negli ultimi tempi giallorossi: soprattutto, criticare. Giusto l’atteggiamento dei tifosi? In verità, non è questo l’interrogativo più importante. La vera domanda è: osservando la scena dell’abbraccio tra Garcia e Florenzi&Co, cosa pensava Pallotta dalla sua tribuna di Boston? Secondo le cronache romane e americane, il presidente aveva deciso l’esonero a prescindere dal risultato contro il Genoa. Quindi, se Garcia ha cambiato il proprio destino, deve ringraziare Florenzi: non tanto per il gol, quanto per l’abbraccio. E allora la vera domanda si trasforma così: è giusto lasciar decidere i giocatori ed è normale che la reazione a caldo dopo un gol detti anche la fredda strategia societaria?
La storia del calcio racconta tutto, ma insegna poco. Ci sono grandi allenatori, tipo Capello, che hanno vinto senza mai essere sfiorati da una carezza, al massimo qualche vigorosa stretta di mano dai proprio calciatori. Altri grandi vincenti, tipo Ancelotti, hanno basato la propria carriera “anche” sul rapporto con la squadra. Rapporto che - sia chiaro - non è nocivo. Anzi. In questi giorni CR7 si è affrettato ad offrirsi al Bayern Monaco, tanto per sottolineare il rapporto con Don Carlo.
C’è un mondo, tra Capello l’Intoccabile e Ancelotti Baci&Abbracci. E in questo mondo di panchine girevoli, c’è di tutto: compresi tanti luoghi comuni, ma senza una regola fissa. Emblematico l’esempio Juve. Nel triennio Conte, l’allenatore correva mano nella mano con la squadra sotto la curva. La domenica diventava il giorno di festa: tutti amici e compagni, dopo una settimana di lavoro con un capufficio fin troppo esigente e vociante. Nel biennio Allegri, l’allenatore si infila negli spogliatoi un secondo dopo il 90°. Senza differenza tra le partite stravinte e quelle sofferte, tipo l’ultima esibizione incorporata con il lancio del cappotto. Ma la squadra continua a vincere. E anche a correre tutti assieme (solo i giocatori) sotto la curva. Di abbracci, con Conte ce n’erano in outlet. Con Allegri, sono rarità da collezionisti.
La verità, quindi, è che non esiste una verità assoluta. Si può vincere o perdere con o senza corse dimostrative verso la panchina. Esistono allenatori bravi a farsi amare, e così fanno rendere al meglio. Ma c’erano grandi tecnici che compattavano lo spogliatoio proprio con l’odio. Un classico esempio è il Napoli di Ottavio Bianchi, e quello storico primo scudetto del 1987. Oppure ci sono attaccanti che segnano tanto e abbracciano altrettanto: Higuain con Sarri. Ci sono attaccanti che segnano poco e abbracciano molto: Dzeko con Garcia.
C’è un mondo, insomma, ma non c’è una regola fissa. Semmai, c’è una considerazione dettata dal buonsenso: se la Roma sceglie di confermare l’allenatore, lo faccia senza farsi trascinare dall’iniziativa di Florenzi. Sarebbe una decisione affrettata e istintiva proprio come qualsiasi corsa dopo un gol. E Baci&Abbracci si lascino a chi entra nei negozi d’abbigliamento (se il marchio esiste ancora) oppure agli auguri di Natale. Che è meglio.
Sandro Sabatini (giornalista Mediaset – Premium Sport)
Twitter: @Sabatini - Facebook: SandroSabatiniOfficial