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Sabatini: l’Inter può vendere Icardi
Il ragionamento non farebbe una piega, se lui non fosse il capocannoniere del campionato scorso. Il capitano appena eletto. Il ventiduenne cui è stato da poco rinnovato il contratto. E tutta una serie di considerazioni che invitano alla prudenza. Anche perché la storia di tante squadre - Inter compresa – è ricca di situazioni analoghe. La prima che torna in mente, riporta addirittura al 2002. Non c’era feeling tra l’argentino Hector Cuper, allenatore di allora, e Ronaldo il Fenomeno, da non confondere con l’attuale CR7.
Stufo di tattica imbalsamata sul 442, preparazione atletica che seminava inquietanti infortuni muscolari e di un feeling opaco con il gruppo argentino, Ronaldo rivolse a Moratti il classico “o me o lui”. Aut-aut tra campione e allenatore: non un inedito. La storia ancora più antica racconta di una situazione simile tra Sacchi e Van Basten nel Milan di fine anni ottanta. Il bivio venne proposto dal tecnico. E di solito, come accadde con Berlusconi, il presidente sceglie il campione, spianando comunque una via d’uscita. Infatti Sacchi lasciò il Milan per guidare la nazionale.
Nel caso Moratti-Ronaldo, per la prima (e forse unica) volta, il presidente scelse l’allenatore. O meglio: si basò sulle voci popolari, che orecchiava quotidianamente nel tragitto passeggiato casa-ufficio-casa. Moratti non aveva un atteggiamento altezzoso con i tifosi. Ascoltava, assorbiva. Si sentiva uno di loro, perché riteneva che il presidente dovesse essere innanzitutto un capo-tifoso. Naturalmente più illuminato (e ricco, ovvio). Ma comunque un tifoso, che non può deludere la propria gente.
In quell’estate del 2002, che Ronaldo aveva trascorso festeggiando il Mondiale vinto con il Brasile, il popolo interista lo considerava colpevole della catastrofe datata 5 maggio. Di più: traditore per aver vinto con la sua nazionale, ma dimenticando di ringraziare l'Inter per malattia, convalescenza e guarigione al ginocchio. In realtà Ronaldo - come racconta anche Vieri nella sua recente autobiografia – sarebbe stato disposto perfino a ridursi lo stipendio, pur di rafforzare la squadra. Ma solo a patto di avere un altro allenatore. Moratti gli disse "no" e così arrivò la cessione al Real Madrid. Trasferimento che fu l'inevitabile conseguenza di tutta la situazione e non – come si è tentato di tramandare - il capriccio di un giocatore egoista e irriconoscente.
Superfluo spiegare che la situazione Icardi sia diversa. Se non altro, per il valore tecnico. Ronaldo era il numero uno al mondo, Maurito non viene convocato dall’Argentina. Gli preferiscono (e come dar loro torto?) gente conosciuta anche dalle nostre parti: Tevez che pure è vecchiotto, Higuain che è tornato di gran moda e Dybala tra i giovani. Forse Icardi paga anche la cattiva fama che storicamente accompagna “l’altro”, nel triangolo amoroso con Maxi Lopez e Wanda Nara. Infatti è stato scomunicato perfino da Maradona. Che non rappresenta certo un modello di vita extracalcio. Ma in Argentina è ancora ascoltato come un Papa. Ops… Quasi come un Papa, considerando il connazionale Bergoglio.
Conviene non divagare. Meglio recuperare il “filo del discorso”: è un’espressione, un modo di dire, che va bene per Mauro Icardi. Perchè proprio lui ha interrotto il dialogo tecnico con i compagni. E si è messo lì davanti ad aspettar palloni, con l’impazienza del grande attaccante ma anche con l’indolenza di chi si lamenta tantissimo e si batte pochissimo. Sembra – se il paragone non offende nessuno – il Destro degli ultimi tempi romanisti e milanisti.
Va così da inizio campionato e stava per diventare una consuetudine, appena interrotta da qualche panchina semi-punitiva. Poi è successo qualcosa d’imprevisto. Per scuotere e smuovere la situazione dell’Icardi ciondolante, la scossa ha un nome dolce (Adem) e un cognome complicato (Ljajic), che quando lo scrivi non ricordi mai dove piazzare le “j”. Quando lo metti in campo, invece, non sapevi mai dove piazzarlo esattamente. Ora Mancini sembra aver avuto un’intuizione felice: attaccante in coppia con Jovetic. Così quello di troppo è diventato Mauro Icardi. Il capocannoniere del campionato scorso. Il capitano con una fascia che sembra maledetta (per info, chiedere allo sventurato Ranocchia). Il giocatore arrivato per scrivere il futuro nerazzurro. Ma da qualche tempo, né lui né l’Inter riescono a coniugare con convinzione i verbi al futuro. Perché, almeno oggi, la squadra gioca meglio senza di lui. Ecco perché l’Inter può/deve vendere Icardi. Si può scrivere. Non si fa peccato: né mortale, né veniale. E neppure tecnico. O no?
Sandro Sabatini (giornalista Mediaset Premium Sport)
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