Sabatini: Hanno vinto i più forti
Ha vinto la squadra più forte: questa la sintesi, filtrata dagli episodi. Il primo tempo con l’evidenziatore blaugrana. Metà ripresa improvvisamente colorata di bianco e nero. Poi una decisione dell’arbitro che ha fatto alzare la cresta rabbiosa non solo a Pogba. E quindi la punizione di Suarez, proprio lui, lasciato solo nella notte che doveva essere consacrata alla rivincita con Chiellini.
Ma non è il caso di elencare presenti e assenti, episodi e recriminazioni. Ha vinto il Barcellona, e al cielo sopra Berlino si rivolgono gli occhi dei catalani in festa per la quinta Champions League della loro storia.
Sotto la curva del cielo, in un applauso di stelle: come canta Jovanotti, gli juventini sarebbero diventati “Immortali”. Invece sono stati, più modestamente, “straordinari”. Che non basta per vincere fino alla fine. Ma rimane sempre un grande orgoglio, stavolta condiviso anche da quella metà d’Italia che vede il bianconero come fumo – del tifo - negli occhi.
Gli occhi, dei giocatori, si riempiono con le lacrime degli sconfitti. Ma non dev’essere questa l’immagine da consegnare alla memoria collettiva. Certo, sulla Champions viene scolpito “FC Barcelona”. E quello resta. Da oggi. Da domani. Per sempre. Ma comunque e ovunque, anche qui a Berlino, alla Juventus di quest’anno vanno solo applausi. Per uno scudetto stravinto senza concorrenza, per una Coppa Italia strappata dopo vent’anni e per una finale di Champions League insperata. Tre stelle sempre sul campo, una stella d’argento in più, un Triplete sognato appena. Ma anche i sogni, pure quelli che si trasformano in illusioni e delusioni, sono per pochissimi. Bravi.
Solo agli juventini è stato concesso di sognare. E sperare.
Nel secondo tempo, per quasi mezz’ora, la speranza era diventata concreta, figlia di una prestazione bella e potente, con bagliori di calcio purissimo. In quel momento il Triplete sembrava inesorabile, come sfiorato da una carezza del destino: il gol di Morata, il numero 9. Esattamente nove anni dopo la rinascita datata 2006. Quell’anno chiamato miseramente serie B, mica festosamente Champions League. Quella stagione partita da Rimini, mica arrivata a Berlino.
Non è questione di punti di vista, stavolta. Anche dimenticando le premesse di luglio, più tormenti dei tifosi e tormentoni vari, l’obiettività impone la celebrazione di una stagione super, anziché la critica per una finale persa. Il Barcellona era più forte, si sapeva: nei singoli, più che nel gioco. I tre là davanti, più Iniesta eletto “man of the match”: nessuno può permetterseli. E non è questione di ristoranti da cento euro, perché quest’anno è rimasto a digiuno anche chi spende milioni di euro a Monaco, Madrid, Parigi o Londra. Nel calcio i soldi aiutano, fanno molto ma non sono tutto: serva di lezione. Anche per la Champions che verrà, con appuntamento finale a Milano. Pure lì è pronta una curva del cielo, con un applauso di stelle. Non sarà il cielo sotto Berlino, che era azzurro e non s’è colorato di bianconero. Ma sarà comunque un traguardo che la Juve ammirata in questa Champions può inseguire. Fino alla fine, come da slogan societario. Con la consapevolezza che la finale può anche finire in lacrime, seppur accompagnate e ingentilite dalle colonna sonora degli applausi in sottofondo. Chi vince ride, chi perde piange. E’ la legge dello sport. Uguale per tutti.
Sandro Sabatini
Twitter: @Sabatini – Facebook: SandroSabatiniOfficial