Sabatini: dentro la crisi del Milan, a caccia di entusiasmo e talenti
Non sono tifoso. Ma appassionato, sì. Di grande calcio, se possibile. Anche per questo considero un’immensa fortuna professionale l’esperienza da cronista alla fine degli anni 80. Raccontavo la quotidianità di una rivoluzione. Fantastica rivoluzione, esibita in Italia ed esportata nel mondo. Vedevo e scoprivo, da testimone privilegiato, quel Milan di Berlusconi e Sacchi. Ne scrivevo tutti i giorni su “Tuttosport”, dove ero stato assunto proprio perché, facendo “gavetta” (si dice ancora? mi pare di no: peccato) collaboravo con interviste ai personaggi emergenti della Serie C. Tra cui l’allenatore di Rimini e Parma: un certo Arrigo Sacchi. Venne chiamato lui al Milan e, quasi di conseguenza, io alla redazione milanese di "Tuttosport". Mi dissero: “Durerà poco questo Sacchi, ma intanto giocati pure tu l’opportunità di far bene”. Come è andata, lo sapete…
Si sa anche che la nostalgia è un sentimento piacevole, seppur malinconico. Consente di viaggiare nel tempo, scegliendo e sfogliando i ricordi più belli. Poi s’impone il ritorno al futuro, come titolava un vecchio film di fantasia. Qui però ci vogliono meno fantasia e più realtà. La vita obbliga a tornare al presente, come anello di congiunzione tra esperienze (passate) e progetti (futuri).
Il presente è oggi, che a un amico chiedo: “Dai un motivo a un milanista per avere speranze”. L’amico risponde: “Fammi la domanda di riserva”. Esagerato. Poi sulla “Gazzetta” leggo le anticipazioni di “My Way”, il libro scritto da Alan Friedman sulla vita di Silvio Berlusconi. E vedo che la parte dedicata al calcio viene sottolineata con le imprese di quegli anni 80. E ci sta, in una biografia. E penso a Galliani che nelle interviste pre Milan-Napoli ricordava quella vittoria del Primo Maggio 1988, in trasferta, con lo stadio San Paolo prima ammutolito e poi sportivamente pieno di applausi. E ci sta anche questo. Ma poi basta. Altrimenti il passato prende il sopravvento, e manca l’unica spinta che può far grande qualsiasi progetto: l’entusiasmo nei momenti difficili. In quelli facili, sono capaci tutti. In estate, anche. E’ nei giorni più complicati, invece, che va sfoderato l’entusiasmo. Ecco, sembra che il Milan fatichi a tener vivo l’entusiasmo. Anzi, lo mette da parte per privilegiare quei sanguinosi inseguimenti ai colpevoli, tipici dei momenti difficili.
Berlusconi e Galliani (e Sacchi) parlano con comprensibile nostalgia di un calcio che non esiste più. Sparito come il passaggio indietro al portiere, l’arbitro e i guardalinee, il giuoco e il fuorigiuoco. Lo fanno con tanto orgoglio e altrettanta malinconia. Poi si ritrovano a valutare e considerare un allenatore cui sono stati affidati un budget milionario e troppi poteri. Ma la recriminazione non dev’essere sui soldi spesi per Bertolacci (20 milioni) e Romagnoli (25). Semmai su quali alternative ci fossero pronte, studiate, visionate e relazionate. Il vizio non è solo del Milan. Ma è impressione diffusa che pochi conoscessero, per esempio, le qualità di Hiljemark preso dal Palermo e Moisander dalla Sampdoria.
D’accordo che la maglia di un grande club diventa sempre più “pesante”, rispetto a una squadra meno illuminata dai riflettori e caricata dalla pressione. In questo senso, l’esempio più chiaro è quello di Valdifiori al Napoli. Ma è innegabile che il Milan possa restituirsi il sorriso soltanto con la caccia ai talenti giovani, a prescindere dalle conoscenze personali di qualsiasi allenatore.
In sintesi: dopo ogni pagina di storia ce n’è sempre una bianca da scrivere con la cronaca. Nei momenti difficili, è cattiva abitudine riempirla con schizzi di recriminazioni e puntualizzazioni, responsabili e colpevoli. Invece il Milan dovrebbe utilizzarla per pianificare, già oggi, il futuro. Anche senza sapere quali saranno budget e obiettivi, oppure allenatore e impegni infrasettimanali: non è mai troppo presto, per seguire una strada tracciata con convinzione. Un percorso. Un obiettivo. Un “Milan Way”.
Sandro Sabatini (giornalista Mediaset Premium)
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