Redazione Calciomercato
Sabatini a CM: 'La rivincita di Pioli, in silenzio ha risposto a chi l'aveva già scaricato'
Unica eccezione la ballata popolare “Pioli is on fire”, che trascina anche lui. Per il resto l’allenatore è preparato, schivo, educato, serio. Senza eccessi. Non cerca consensi populistici. È l’identikit ideale per diventare bersaglio di quelli che “il Milan è forte, ha vinto lo scudetto, Leao un fenomeno, in Italia e in Europa deve rispettare la storia”. In caso di eliminazione, gli avevano preparato una percorso di critiche fino al traguardo “colpa di Pioli”. Invece…
Una delle tante verità è che non scende in campo la storia. E nemmeno la geografia: Londra, seppur sponda Chelsea, aveva vinto due volte la Champions League negli anni in cui il Milan nemmeno l’aveva giocata, questa coppa che - come diceva Galliani - bastava sentire l’inno per trasformare le partite anche più sbiadite in meravigliose notti di stelle.
Il Milan che schiacciava play al grido “De Chaaaampiooons” era un altro Milan. Una squadra che consentiva a Berlusconi l’autoreferenzialità di raccontarsi come il “presidente di club più titolato al mondo”. Una squadra fortissima. Undici campioni abbondanti. Poi gli allenatori. Ovvero Sacchi, Capello e Ancelotti, elencati in decrescente ordine alfabetico. Oppure in un crescendo di trionfi. Dal 1989 al 2007 (diciannove edizioni di Champions) il Milan ne ha vinte cinque e due volte è arrivato in finale. Questa è storia, anche se assomiglia a leggenda. E leggendaria, infatti, lo è.
Il Tottenham quattro anni fa era arrivato - anche un po’ fortunosamente - in finale. Segno che qualcosa di più recente c’era. E c’è ancora. Più del Milan, che si è riaffacciato in Champions l’anno scorso, dopo averla guardata in tv dal 2014. L’allenatore di quel Tottenham finalista era Mauricio Pochettino, adesso disoccupato. L’attuale è Conte, che si lamenta sempre. Da una decina di anni su Tripadvisor, a selezionare ristoranti da dieci o cento euro, dieci o cento sterline.
Poi però succede che il giocatore da cento milioni di euro, Rafael Leao, giochi benino ma non benissimo. Giroud fa sempre la figura del professore, il giovanotto portoghese lo studentello. E l’elenco dei singoli può proseguire qui nel perimetro di quelli che hanno giocato con sorprendente bravura (Messias e Krunic) oppure con determinatissima attenzione (il trio difensivo) o infine con la matura consapevolezza del grande appuntamento (Tonali, Theo, Brahim). Siccome poi anche le “partite perfette” hanno episodi dirimenti, c’è stata la superparata di Maignan all’ultimo secondo: impresa epica, quanto quella di Zoff in Italia-Brasile del 1982. La storia…
Nella storia che fa da guida nei racconti, un ultimo capitolo va dedicato ancora a Pioli. Quando sperimentò la difesa a 3, già al primo insuccesso gli dissero e scrissero che stava “tradendo il proprio lavoro tattico e addirittura anche la storia del Milan, la difesa a 4”. Pupazzetti che fanno gli influencer, il web come un giardino concimato da (pseudo)intenditori, scatenati sui social giovani e meno giovani predicatori di calcio teorico: non proprio tutti, ma tanti contro Pioli. Come se Pioli fosse un babbeo in stato confusionale…
Il calcio chiacchierato ha memoria sul lungo periodo, in cui i risultati orientano la narrazione. Invece pochi rammentano quel che viene detto e scritto di recente, quando parole (casuali) e concetti (strumentali) si utilizzano per un like in più, anziché per un’analisi seria che prescinda dal consenso social. L’importante è che oggi non si possa prescindere dal gioco del Milan e da un gioco di parole: Stefano Pioli ha vinto anche pareggiando.