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    Sabatini a CM: 'Juventopoli 2023, non esiste 'sistema' senza 'sistemisti'. Calciopoli 2006 ha insegnato qualcosa'

    Sabatini a CM: 'Juventopoli 2023, non esiste 'sistema' senza 'sistemisti'. Calciopoli 2006 ha insegnato qualcosa'

    • Sandro Sabatini
      Sandro Sabatini
    Fino a oggi, avete letto le anticipazioni, con tutto lo spazio che meritavano, qui su calciomercato.com. Stasera vedrete Report. Poi, salvo qualche sperabile replica a Cellino (“in Lega bruciammo in un bidone tutti i documenti”), calerà nuovamente il sipario su Calciopoli 2006. E mercoledì è attesa la sentenza su Juventopoli 2023.

    Avete letto bene: “Juventopoli 2023”. Ma non fermatevi alla provocazione di questa etichetta da dare al processo sportivo più eclatante da diciassette anni a questa parte.

    Nel 2006 venne chiamato “Calciopoli” perché erano coinvolti presidenti, dirigenti e arbitri. Tutte le categorie rappresentate, a parte proprio i calciatori. Che praticamente non vennero mai menzionati nelle intercettazioni e nelle trascrizioni, nelle parole dell’accusa e nelle arringhe della difesa. Alcuni di loro ne beneficiarono poi, tipo Ibrahimovic che passò all’Inter e Cannavaro che volò a Madrid: effetti collaterali, chiaramente visibili nel calciomercato.

    Il calcio italiano fino ad allora venne rivisitato e corretto. Luciano Moggi ne venne espulso, perché non si limitava ad esercitare il potere: lui era lo strapotere. Non si accontentava di essere potente: era prepotente. Al cospetto della giustizia sportiva, Moggi si tirò dietro la Juventus, gli arbitri e tutto un sistema nel quale erano rimaste coinvolte anche altre società, come testimoniato dalle penalizzazioni di Milan, Lazio e Fiorentina. Una rimase fuori, pur beneficiando con uno scudetto vinto in tribunale: l’Inter. La stessa Inter usufruì poi della prescrizione quando, qualche tempo dopo, la procura federale entrò in possesso di altre intercettazioni. Non altrettanto gravi. Ma punibili - per la giustizia sportiva - seppur non con altrettanta gravità.

    Oggi, non si può far finta che Calciopoli 2006 non abbia lasciato un segno e un insegnamento. Comunque la si pensi, è meglio evitare qualsiasi sensazione che fa rima con prescrizione.

    Accantonando per qualche giorno la questione degli stipendi pre-post Covid, riguardo alle plusvalenze fittizie non è pensabile che esista questa “Juventopoli”. E se anche il club bianconero, come sostiene l’accusa, era a capo di un Sistema, non esiste “sistema” senza “sistemisti”. La plusvalenza si fa in due. Due club consenzienti. Non uno che ordina e l’altro che esegue. Non uno che ne è consapevole e l’altro “a sua insaputa”.


    C’è poi il buonsenso, quello spesso richiamato ma non sempre applicato, che suggerisce un aspetto poco particolare e molto generale. Qualsiasi intercettazione telefonica è importante, persino determinante. Ma in ogni caso di trasferimento di calciatori, esistono i contratti scritti. Non le parole. Ci sono cifre, numeri, parametri, confronti aritmetici. Cioè tutte le valutazioni, pur difficili da provare, sul valore dei giocatori oggetto di trasferimento. Per verificare e giudicare una plusvalenza fittizia, è molto più veritiero considerare i contratti scritti piuttosto che le parole pronunciate al telefono, anche senza considerare la differenza di trattamento tra chi è stato intercettato e chi no.

    Buonsenso non significa perdonare a prescindere o chiudere un occhio. Significa giustizia, uguale per tutti. E anche senza entrare nei cavilli giuridici che indirizzeranno la sentenza di mercoledì 19, il buonsenso impone regole senza eccezioni né dilazioni. Senza far sconti a nessuno, tantomeno alla Juve se risulterà colpevole in assoluto o più colpevole delle altre, il calcio italiano può fare i conti con se stesso, anche a prescindere dalle indagini nelle varie Procure ordinarie. La giustizia sportiva va applicata e rispettata con decisione, tempismo e rigore. Ma anche con la consapevolezza che i tempi e le regole sono uguali per tutti. La prescrizione, in generale e non solo in riferimento a “Calciopoli 2006”, non è in sé un’ingiustizia. Ma lascia comunque il sapore, amaro, dell’imperfezione giuridica. Meglio evitare. 

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