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    Sabatini a CM: 'E' ora di trattare seriamente il razzismo. Esultare per provocare, ora basta'

    Sabatini a CM: 'E' ora di trattare seriamente il razzismo. Esultare per provocare, ora basta'

    • Sandro Sabatini
      Sandro Sabatini
    Il razzismo è un problema serio. Da trattare seriamente (e serenamente). Senza distinzioni di bandiere o magliette, curve o tifoserie. Il razzismo nel calcio va trattato senza il razzismo generato dal tifo.

    Un esempio: quelli che oggi accusano gli juventini di aver insultato Lukaku, sono gli stessi interisti che nel 2018 giuravano di non aver offeso Koulibaly per il colore della sua pelle ma “solo per aver commesso un fallo da espulsione” (cit.).

    Un altro esempio: quelli che oggi accusano gli interisti per l’esultanza provocatoria di Lukaku, sono gli stessi juventini che nel 2019 difendevano Kean a Cagliari per un gesto simile, anche se in verità meno aggressivo.

    In sintesi: se il razzismo siamo noi, non si combatte dicendo “i razzisti siete voi”. Ecco perché sembra addirittura peggiorativo disputarne attorno a una partita di calcio che storicamente è “nonsolocalcio”, ovvero Juve-Inter. Verso mezzanotte, per esempio, c’è stato il commento di un manager americano che probabilmente ha visto (se l’ha visto) l’epilogo del match a New York. Si chiama Michael Yormark, è presidente di Roc Nation, agenzia di procuratori di Lukaku. Con il suo comunicato, seppure abbastanza “trumpiano” nei toni, Lukaku diventa vittima di razzismo e testimonial dell’antirazzismo. Juventus e “autorità italiane” sono invitate a scusarsi con Romelu. E va bene. Va benissimo così, con social, siti, tv, radio e giornali sia cartacei sia on line che stanno confermando posizioni sacre riguardo alla lotta al razzismo. Certo che va bene. Perché se il calcio diventa messaggero di pace e valori per il mondo, va benissimo così.



    Il razzismo si combatte senza “se” e senza “ma”. E quel che abbiamo il dovere di approfondire e commentare, non è un “però”. È la ricostruzione dello stesso Lukaku, di un arbitro e di giocatori che non sentono nulla fino all’esultanza del rigore. Le belve razziste visualizzate sui social sono uscite dalle gabbie dopo l’esultanza. Non prima. Prima, basta sentire senza pregiudizi l’audio della partita, ci sono fischi all’ingresso in campo e un prolungato coro anni ottanta: “Scemo-scemo”, quando Lukaku fa quel fallaccio su Gatti.

    Poi c’è l’esultanza, che una mezz’oretta dopo la fine della partita viene spiegata come “dedicata al compagno di nazionale Doku”. Boh. Vabbè… Non si può dubitare, visto che l’aveva fatta in Svezia-Belgio. Ma almeno poteva avvisare, Lukaku, che quella sua celebre esultanza alla bandierina, quando faceva gol e si proclamava “King of Milan”, era stata rimpiazzata da una nuova, meno interista e più belga, diciamo così…

    A proposito di esultanze, una piccola riflessione. Vanno bene tutte le più festose, ci mancherebbe. Non vanno bene quelle provocatorie per tifosi e giocatori avversari. Per intendersi - e non far sconti a nessuno - non va tanto bene l’esultanza di Leao domenica scorsa, infatti Spalletti se l’è presa. Non andava per niente bene l’esultanza di Bonucci che invitava chiunque a sciacquarsi la bocca (perché, poi? Qualcuno l’ha mai capito?). Non è esemplare neanche l’esultanza del buon Di Lorenzo, che pure è icona del ragazzo assolutamente a modo, che mise in scena una partita a carte dopo un gol del 4 o 5 a 1 contro la Juventus. Per tutte, e per decine di altre che se ne potrebbero aggiungere, vale una regola di buonsenso e fair-play: l’esultanza è sfogo di gioia innanzitutto per sé stessi, da condividere con i compagni di squadra e i propri tifosi. L’esultanza non è provocazione, né resa dei conti, e nemmeno palcoscenico per messaggi offensivi o irridenti destinati agli avversari.

    Il razzismo invece è un problema serio. Da trattare seriamente. E serenamente: quindi, lontano da Juve-Inter di ieri, oggi e domani.

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