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    Rummenigge e l'Eca hanno deciso: niente Superlega. Almeno per ora...

    Rummenigge e l'Eca hanno deciso: niente Superlega. Almeno per ora...

    • Pippo Russo
    Bontà sua, Karl-Heinz Rummenigge si è detto soddisfatto. Lo ha fatto ieri, esternando nella doppia veste di presidente sia dell'European Club Association (ECA) che del Bayern Monaco. A margine della diciottesima assemblea generale ECA tenuta ieri a Atene, Rummenigge ha espresso il parere positivo da parte sua e della lobby dei club europei sul nuovo format della Champions League varato dall'Uefa. In conseguenza del quale, a partire dalla stagione 2018-19, verranno garantiti quattro posti nella fase a gironi per i primi quattro campionati nazionali d'Europa. Che sono anche i più ricchi, nonché dominati dai club più potenti. E fin qui è tutto normale. Come leader di un forte gruppo di pressione privato, Rummenigge ha legittimamente manifestato appagamento per una battaglia vinta nel confronto con l'attore istituzionale di riferimento nel mondo del calcio.
    Il fatto è che con le sue dichiarazioni il presidente dell'ECA è andato oltre. E ha detto che grazie al nuovo format della Champions "non ci saranno più discussioni sulla creazione di una Superlega". Una formula ambigua e sottile, densa di significati trasversali che danno l'idea della minaccia persistente.

    È ambigua perché lascia nella vaghezza il riferimento su chi fossero i soggetti che ne stavano discutendo (chiacchiere da treno o da uffici dell'ECA?), ma dà per assunto che una discussione in corso vi fosse. Ed è sottile perché fin qui i riferimenti al supercampionato europeo per club s'erano avuti nelle interpretazioni degli analisti e nelle intenzioni fatte trapelare ufficiosamente dai grandi club, ma mai esplicitamente assunte da un rappresentante dell'élite calcistica europea. E invece stavolta, in modo machiavellico, Rummenigge dice che "non se ne parlerà più". Però dicendolo ne ha parlato. Una negazione che afferma, e soprattutto fa capire che l'arma rimane nel cassetto, sempre carica.

    È guardando a tutti questi aspetti meta-discorsivi che si ha la perfetta rappresentazione di quali siano oggi i rapporti di forza nel calcio europeo. Da una parte ci sono i grandi club che vogliono sempre di più e usano l'arma della secessione come una minaccia. Dall'altra c'è l'Uefa, che teme di perdere il business (l'organizzazione delle grandi competizioni europee), e perciò scende a compromessi. Che dal suo punto di vista sono sempre più al ribasso, perché vanno regolarmente incontro alle esigenze della controparte.

    Questo meccanismo è all'opera ormai dall'inizio degli anni Duemila, cioè dal momento in cui l'Uefa ridisegnò il format della Champions prevedendo per la prima volta l'accesso di quattro club provenienti dalle leghe in cima al ranking. In quell'occasione la pressione giungeva dal G-14, la lobby dei più ricchi club europei, anche loro pronti a organizzarsi la Superlega. E pareva che il format avviato con l'edizione 1999-2000 avesse tacitato definitivamente gli appetiti delle elite. Ma col passare delle stagioni ci si è accorti che le cose non stavano esattamente così. Perché i ranking sono variabili anziché dati, e dunque capita che un paese come l'Italia perda per strada uno dei posti assegnati. E perché all'interno dei singoli paesi i club d'elite devono guadagnarselo sul campo, un posto in Champions. Ciò che non sempre avviene, anche perché continua a esserci una variabile che il denaro non riesce proprio a comprare: il merito sportivo.

    La pressione esercitata dall'ECA (erede naturale del G-14 e, quanto il suo predecessore, rappresentativa di soltanto una parte del vasto movimento calcistico europeo) si è innescata per ovviare agli esiti del vecchio format giudicati non soddisfacenti dai club più ricchi. E dunque, ecco i quattro posti assicurati alle quattro principali leghe. Basteranno? Ve lo dico sin da adesso: no. Perché quattro posti alla Premier League significherà che almeno una fra Chelsea, Liverpool, Arsenal e i due Manchester dovrà rimanere fuori. E lo stesso vale per la Serie A, dove a almeno una fra Juventus, Roma, Napoli e le due milanesi dovrà starsene a guardare. E si badi bene che, tranne il Napoli e il Manchester City, tutti i club menzionati o erano parte del G-14 successivamente allargato a 18 (Liverpool, Manchester United, Arsenal, Inter, Juventus e Milan), o s'apprestavano a diventarlo prima che la lobby si sciogliesse (Chelsea e Roma).

    Quanto tempo passerà prima che le escluse tornino a rumoreggiare perché non riescono a conquistarsi la Champions sul campo? Pochissimo, ci potete scommettere. E a quel punto Rummenigge tornerà a estrarre l'arma dal cassetto e l'Uefa riprenderà a negoziare al ribasso. Dal punto di vista politico la Superlega esiste già. Si tratta solo di capire quando verrà il momento in cui i suoi sosteniori avranno la forza per organizzarla.

    @pippoevai

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