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Romamania: speso un miliardo per niente, tocca a De Rossi ricostruire, senza le star al tramonto
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Nessun proprietario della Roma ha speso quanto i texani nella storia del club. Eppure i piazzamenti in campionato finora dicono un settimo posto e tre sesti consecutivi. Una pericolosa assuefazione alla mediocrità.
Franco Sensi arrivò quinto al secondo anno di gestione (ma ne ha attesi otto per vincere lo scudetto), Pallotta ha chiuso al secondo posto la sua terza stagione e poi è rimasto sempre sul podio per i quattro anni successivi. Friedkin, invece, ha visto qualificarsi alla Champions tre volte il Napoli, due volte l’Atalanta, una la Lazio, una il Bologna e mai la sua Roma. Neanche nell’anno in cui bastava arrivare quinti e alla vigilia di una coppa che diventerà ancora più ricca e amplierà le distanza da chi resta fuori dal giro.
Passi per una prima stagione di ambientamento, con le restrizioni causate dalla pandemia a rendere tutto più lento e complesso. Passi per il cammino eccezionale e costante in Europa di questi quattro anni che ha portato un trofeo e un’altra finale, ma non può bastare per cancellare la mediocrità vissuta in Italia, coppa nazionale compresa. Passi per le difficoltà di gestire il puntuale tracollo del terzo anno di Mourinho, il cambio in corsa, i soliti infortuni, il calendario folle di quest’anno. Ma se finisce sempre allo stesso modo, c’è bisogno di avviare, a partire dai proprietari, una profonda riflessione su cosa è stato sbagliato e in che modo impostare qualcosa di nuovo. Per spendere meglio i propri soldi, innanzitutto.
Daniele De Rossi e Florent Ghisolfi hanno l’età e la freschezza per costruire insieme una piccola e necessaria rivoluzione. Dovranno farlo con un budget ridotto, collaborazione e tante buone idee. Servono giocatori funzionali, in salute, affamati. Perché con le star al tramonto si riempiono gli aeroporti d’estate ma si finisce al massimo sesti. Un verdetto ormai definitivo.