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    Romamania: Dzeko, il leader silenzioso che non ha bisogno dell'eco dei social

    Romamania: Dzeko, il leader silenzioso che non ha bisogno dell'eco dei social

    • Paolo Franci
    L'insostenibile leggerezza dell'essere Dzeko. Sì, è di lui che voglio parlare, di Edin il bosniaco per il quale - l'ho confessato in passato e lo ribadisco senza indugio - ho un debole sin dai tempi della sua militanza al City. Una cinquantina di gol in poco più di novanta partite nella Roma, non sono bastate ad affrescarne intoccabilità e considerazione a prescindere. Anzi. Oltre a un nutrito gruppetto di critici che non perdono sponda per dargli addosso, c'è un vero e proprio partito pronto ad alzare il sopracciglio al primo gol fallito. Ieri, quando l'ha messa dentro non ha esultato, ma ha messo in scena lì, sul prato amico, una smorfia rabbiosa unita ad una evidente pulsazione mascellare.

    Perchè quella non esultanza a denti strettissimi? In casi come questi, la libera interpretazione fa la differenza. Io ci ho letto una roba in 3D, tre diversi motivi. Il primo: “Mi avevate messo su una bancarella per vendermi al miglior offerente senza neanche avvisarmi, bravi, bravi...”. Il secondo riferito al tecnico: “Lo vedi che se mi metti ai lati un'ala (Under) che sa mettere in mezzo uno straccio di cross decente la butto dentro eccome?”. Il terzo: “Non esulto dopo aver segnato un gol al Benevento. Eppoi sbloccarmi di cosa? Io sono Dzeko e qui ho fatto cinquanta gol in 92 partite e cosa devo dimostrare ancora?”. Ripeto: mia libera interpretazione.

    Poi, c'è il gesto da leader vero e silenzioso, di quelli che non hanno bisogno di creste, tatuaggi, fidanzate glam o continua esposizione su Instagram e Twitter per mettersi in mostra. Qualcuno ricorda un centravanti che abbia preso il pallone del rigore per darlo al collega in difficoltà per caso? No perchè io rammento esattamente il contrario: gente che litiga per un rigore, pur avendo il catino stagionale pieno di gol. Neymar e Cavani ad esempio, giusto per dirne una.

    Dzeko l'ha fatto con Defrel. Un gesto bellissimo, straordinario, intenso. Il gesto di uno che si sente parte di qualcosa che però, probabilmente non farà più parte di quel qualcosa, perchè la bancarella è sempre aperta per lui e gli altri. E non lo dico io, ma Di Francesco, che più o meno ha spiegato: “Io i giocatori li alleno, però la possibilità di dare continuità agli stessi calciatori, come fa il Napoli, sarebbe meglio. Mi auguro che dopo aver messo a posto alcune questioni societarie si possa arrivare a questo. La Roma deve mettere a posto i conti e poi torneremo a pensarci”. Onesto, crudo, realista. E soprattutto dannatamente triste.

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