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    Romamania: caro Fonseca, altro che padroni del campo. Chi va a Torino a farsi fregare in quel modo da Ronaldo?

    Romamania: caro Fonseca, altro che padroni del campo. Chi va a Torino a farsi fregare in quel modo da Ronaldo?

    • Paolo Franci
    Prendo in prestito un calcolo del caro amico Ugo Trani che, su Il Messaggero scrive: “La Roma resta se stessa anche allo Stadium: debole con le big”. Eppoi i numeri: 3 sole vittorie di Fonseca in 20 scontri diretti. Di più: quest'anno neanche una vittoria e appena 4 pareggi in 9 gare nell'attico del campionato. Quel “la Roma resta se stessa” dice molte, moltissime cose. E disegna limiti che a questo punto sembrano invalicabili. Cioè pare quasi che la Roma abbia raggiunto una solida identità, detto però come un limite – quello degli scontri diretti – e non come prospettiva. Perché la monotonia con la quale certe cose si ripetono a questo punto non può che essere identificata come uno sbarramento nella ipotetica crescita della squadra. Limiti che non si possono non ascrivere all'allenatore. Perché qui parliamo di personalità e mentalità che la Roma evidentemente non ha assimilato. E chi gliela deve trasmettere? Un po' quel che accade al Napoli dove, con esagerata sincerità, Gattuso racconta come lo scatto in avanti dei suoi dal punto di vista della personalità sia una sua precisa responsabilità. Dice, in sostanza, Gattuso: “Se la squadra non gira dal punto di vista della cattiveria, della concentrazione, della mentalità è colpa mia”.

    Anche io come molti, avvolto da sincero e caratteriale ottimismo, ho letto nelle vittorie convincenti della Roma con le 'piccole' – drammatico e antico tallone d'Achille nel momento decisivo della stagione - un segno di maturità. Mi sono illuso e sospinto anche oltre il logico nello slancio di quell'ottimismo. Ho pensato che si potesse accarezzare chissà cosa. E invece, ora è evidente, quelle vittorie erano sì belle, sì preziose, ma anche la griffe di un limite che non sembra correggibile. Poi ci sono gli errori tattici. Quelli con la Lazio, giusto per ricordare un recente dolore. E, ieri, il modo in cui una Roma - che a Fonseca è sembrata padrona del campo e a me e molti altri un vite spanata che gira e gira e gira non arrivando mai – illusa (non da me) di poter comandare a Torino s'è consegnata a CR7. Ma chi concede tutto quello spazio al giocatore più forte al mondo? Chi va a Torino e si fa fregare in contropiede? Ho sostenuto e difeso Fonseca perché lo ritengo un buon tecnico ma se è vero che i limiti di una squadra sono lo specchio del suo allenatore, allora c'è poco altro da aggiungere. Perchè alla fine, aldilà di convinzioni e presunte certezze, sono i risultati che contano. Si dirà ma la Roma è quarta. Vero e il Napoli nella bufera è quinto a tre punti dalla Roma con una partita da recuperare. Sono i segni di un campionato che non ha un padrone, talmente appiattito verso il basso da convincere più d'un presidente di avere una grande squadra e un grande allenatore. E non è un caso che in tempi diversi, Pirlo, Fonseca, Gattuso, lo stesso Conte siano finiti sulla brace. Difendere quel quarto posto non sarà per niente semplice, guardando in particolare a Lazio e Atalanta ma, come ho detto prima, sono caratterialmente ottimista ed è pur vero che a Torino mancavano giocatori importanti. Magari mi sbaglio. Magari è stato solo questo. Magari.

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