Getty Images
Roma, Pastore: 'In estate tanti pensieri, con Fonseca è cambiato tutto. Sabatini come un padre, Batistuta il mio idolo'
L'IDOLO - "Quando ero piccolo senza dubbio Batistuta. In quel momento giocava in nazionale, in Italia segnava tanto e si parlava solo di lui. Avevo il poster nella mia camera. Quando venne alla Roma, mio padre mi regalò la sua maglia, fu una cosa bellissima. Poi quando sono cresciuto un po’ di più adoravo Riquelme. Era un punto di riferimento come numero 10".
IL PALERMO - "Sono venuti a osservare le mie prestazioni per due mesi. Per me era un sogno giocare in Europa. È stato straordinario, mi hanno convinto subito. Non ci ho pensato due volte. Alla prima possibilità ho accettato. Paura? Mai, nessuna paura. Era il mio sogno. Venivo per la cosa che so fare meglio: giocare a calcio. La mia famiglia mi ha supportato, perché è venuta con me. E tutto questo mi ha dato tanta fiducia".
SUL PSG - "Una grande esperienza. Sono stati sette anni densi di avvenimenti. Sono arrivato in una squadra completamente diversa rispetto a quella che avevo lasciato. Ho visto il club crescere assieme a me, hanno cambiato allenatori, hanno fatto passi da gigante con i media, hanno rinnovato il centro sportivo e lo stadio, hanno migliorato tutto. Sono molto felice di essere stato con loro attraverso tutti questi cambiamenti. Mi hanno reso felice. Quando sono arrivato, il PSG non era quello che conosciamo oggi e io sono orgoglioso di aver dato il mio apporto. Non cambierei nulla di questi anni. Abbiamo vinto tanti titoli e ho lasciato un bel ricordo ai tifosi e alla gente in Francia: questa è la cosa più importante".
LA ROMA - "Ha rappresentato una bellissima opportunità. Volevo cambiare squadra per sentirmi di nuovo un giocatore importante e riprendermi il ruolo perso al PSG, per l’arrivo di tanti altri giocatori di livello. La Roma era la miglior proposta, parliamo di una grande città che io e mia moglie adoriamo".
IL PRIMO ANNO - "L’avventura è partita bene ed ero molto entusiasta di giocare qui. Poi purtroppo mi sono fatto male un paio di volte di seguito e poi c’è stato l’infortunio al Derby di andata. A settembre già è iniziato ad andare tutto male. Avevo perso la fiducia dell’allenatore, perché non ero mai in campo. Fisicamente non sono stato mai bene, non riuscivo a gestire bene gli allenamenti o a migliorare la condizione fisica. Ho fatto pochissime partite e non è stato un anno facile, a livello personale e sportivo".
SULL'ESTATE - "Avevo tante cose per la testa. Stavano avvenendo tanti cambiamenti nel Club ed era tutto un punto interrogativo per me. Mi sono preso i primi giorni di vacanza con la mia famiglia, ma prima di ricominciare la stagione ho voluto parlare con la Società e con l’allenatore, volevo sapere cosa pensavano di me. Ero a conoscenza di non aver fatto bene l’anno precedente, mi faceva male ripensare alla mia ultima stagione e non volevo che le idee del nuovo tecnico venissero influenzate da quelle prestazioni. Dal primo giorno la Società mi ha comunicato che il cambio di allenatore sarebbe stato positivo per tutti. Nei primi allenamenti ho dimostrato subito di voler cambiare quello che era stato un anno brutto, da parte mia e di tutta la squadra. L’allenatore è stato sempre molto onesto, ha dimostrato di aver fiducia in me. Mi ha chiesto di dimenticare quanto accaduto prima, di allenarmi al cento per cento. Mi hanno gestito bene. Ho parlato con lo staff, gli ho detto che l’anno precedente non ero mai riuscito a trovare la forma giusta: per diverse necessità ero dovuto comunque scendere in campo e per questo non facevo bene per la squadra e mi facevo male pure io".
SULL'EMERGERE - "Oggi si pensa solo ai soldi. Ci sono tante famiglie o ragazzini che pensano a giocare per fare i soldi e basta, anche nelle basse categorie. Non dico che io non ne abbia fatti in carriera, ma non può essere quello il primo motivo. Così si lasciano la passione e il calcio da parte. Quando fai così arrivare in alto è più difficile. Una cosa devi farla perché la ami".
SU SABATINI - "Mi parlava di tutto, di vita e di calcio. Ero come un figlio. Arrivato a Palermo non riuscivo a fare nulla, nemmeno in allenamento. Mi chiamava nel suo ufficio a rivedere la partita giocata la domenica. Facevano quaranta gradi in quell’ufficio e io volevo andare in spiaggia. Lui mi teneva lì a rivedere il match e mi diceva “riguardatelo tre volte e poi mi dici cosa hai notato”. Andava via e faceva le sue cose, dopo il novantesimo tornava e mi diceva “ok, cosa hai notato?”. E io rispondevo: “Direttore, ho fatto qualche giocata buona”. E lui ribatteva “no, qua hai alzato un braccio contro un compagno perché non ti ha passato la palla, qui non hai corso dieci metri indietro”. Mi segnalava una serie di cose che uno non vede a 19 anni. E lui me le ha fatte notare tutte. Sono stati dettagli importanti dentro e fuori dal campo. Calcisticamente mi ha aiutato tanto".