Monchi e Sabatini: così uguali e così diversi, ma c'è un abisso tra le vittorie
Questo Roma-Inter ha fatto tornare subito Sabatini nella città delle sue speranze mancate e visto che il mercato ancora non è chiuso, ha creato la suggestione forte ed emotiva di un parallelo con il lavoro di Monchi nel nome di una squadra, la Roma. L’idea da parte della proprietà americana di scegliere due direttori che avessero la capacità di esplorare il mercato a 360° gradi, di scovare talenti sconosciuti ma dal notevole potenziale, di lavorare sui ragazzi del settore giovanile e di generare le ormai arcinote plusvalenze del calcio moderno, costituiscono tutti insieme i punti di contatto tra Sabatini e Monchi e in superficie spiegano nel segno della continuità di un’idea della Roma attuale.
Se il taglio generale li accomuna nella loro bravura e nello sviluppo indubbio di un grande talento, ci sono scendendo nel particolare alcune diversità importanti. Da prima l’idea di se stessi. Uno è un ramingo che ha girato tante società lasciando il cuore a Perugia e a Roma, l’altro invece ha sposato una città e attraverso un lungo apprendistato, sin da quando era giocatore, si è formato come “Hombre della casa” e direttore della sua squadra del cuore.
Sembrano amenità ma incidono sul loro lavoro. Sabatini da intelligente inquieto qual è, ha di solito condotto a Roma, per sua stessa ammissione, campagne di mercato ondivaghe o per usare un suo termine, rissaiole. Cioè campagne in cui c’era di tutto dalla lungimiranza per Strootman, al talento per Pjanic, al madornale abbaglio per Iturbe, a un sogno non chiaro come Ucan. Monchi invece ha sempre seguito più il metodo, l’analisi per sviluppare la ricerca di talenti che potessero diventare campioni certo, ma con criteri più definiti. E così sono venuti fuori i Dani Alves, i Rakitic sconosciuti giocatori diventati campioni.
Una prima differenza dunque: Sabatini dentro uno studio profondo dei giocatori lavora anche sul sogno e la suggestione, col risultato che non sempre si può avere una visione grande su tutto. Monchi è più un metodista, e frutto di una mentalità spagnola il suo lavoro è più rotondo e stringente. La conferma di questa differenza sulla profondità, allargando il discorso, viene dalla gestione del settore giovanile. Monchi a Siviglia ha formato Reyes, Ramos, Capel e altri che poi sono prima divenuti pilastri della prima squadra e poi sono stati rivenduti a peso d’oro anche e non solo ai grandi di Spagna. La gestione di Sabatini nel settore giovanile romanista è stata meno fluida e florida. Alla fine lui che ha conosciuto i ragazzi della via Paal, nome con il quale chiamavano i giovani del vivaio romanista del 1973, da Conti a Di Bartolomei, da Peccenini a Rocca e sempre lui che da responsabile della Lazio nel 1994 aveva svezzato Nesta e Di Vaio, non è riuscito a produrre campioni dal mondo giovanile romanista nonostante la riconosciuta storia di questo settore nel calcio italiano.
Se entrambi sono bravissimi nel generare plusvalenze, vere pietre angolare del calcio moderno, e quindi a dare valore sul mercato ai patrimoni delle società, c’è però una differenza centrale tra i due. La differenza è nelle vittorie. Monchi ha vinto 7 titoli a Siviglia (5 Europa League e 2 Coppe del re) e Sabatini sottolinea ancora come questa gli sia mancata a Roma. Il punto è anche qui. Se non soprattutto. Lo stesso Sabatini disse, mesi fa a una conferenza a Roma Tre, che un grande Ds si valuta sul triunvirato Plusvalenze-Assets-Competitività dimenticando non solo inconsciamente, la vittoria.
Oggi si trovano l’uno contro l’altro per la prima volta, entrambi hanno affrontato un mercato complesso e criticato, entrambi hanno dato la sensazione di mettere meno del loro. Entrambi però sono quelli degli ultimi giorni, dei colpi a sorpresa per cercare la vittoria. Quella vittoria che Sabatini ha tanto inseguito a Roma e che avrebbe voluto per coniugare talento e risultato definendosi così compiuto. Quella stessa vittoria che Monchi insegue sempre a Roma per ultimare un’idea e darle senso. Due metodi diversi per uno stesso fine, perché al di là delle plusvalenze contano le vittorie.
@MQuaglini