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Roma-Juventus, Garcia: 'Sia una festa del pallone'
Garcia ha parlato anche della sua infanzia: 'Mio padre era un bravo numero 10, un mancino che non sbagliava un tiro. Ha sempre unito lavoro e calcio, da giocatore come da allenatore. Ha lavorato in un'azienda elettrica, in una fabbrica di vetri, in una banca. Avrebbe potuto fare una carriera migliore, da calciatore. Nei fine settimana era sempre fuori casa, ci vedevamo poco e, da ragazzino, mi dicevo che mai avrei fatto l'allenatore. Io cullavo l'idea di fare il veterinario, perché mi piacciono gli animali: ho sempre avuto cani, gatti, e ricordo con piacere le vacanze dai nonni a Blagny, nelle Ardenne, le camminate nei prati con le vacche, le oche. Ora ho un labrador, si chiama Saxo e sta in casa di mia madre. A un certo punto però il pallone ha preso il sopravvento. Nella testa mi sentivo un 10, il mio idolo era Platini. Ma sul campo avevo mezzi da 8, o da 7. Ero un calciatore di medio livello, sono arrivato alla serie A senza mai trovare la pappa pronta e a 28 anni ho dovuto smettere per problemi alla schiena. A mio padre telefonavo dagli spogliatoi, prima di ogni partita. Adesso il suo cellulare è passato a mia madre, e io telefono a lei, poco o tanto importante che sia la gara che si sta per giocare. Non voglio che si senta sola. E non vorrei essere un allenatore che pensa al pallone 24 ore su 24. Ammetto che non sempre ci riesco. Ma so, da quando è morto mio padre nel 2008, che il capotribù dei Garcia sono diventato io'.