Roma:| Giù le mani da Adriano
A quanto pare, tra le tante cose di cui ha o avrebbe bisogno Adriano per tornare quello che tutti e lui per primo rimpiangono, cioè calma, serenità, tempo, affetto, motivazioni e tutti i sinonimi che vi possono venire in mente, non figura al momento il termine rispetto,
che poi ben si sposerebbe a tutte quelle cose appena menzionate: rispetto per il tempo di cui necessita la sua messa a punto, per la calma con cui dovrebbe ritrovare la dimensione di giocatore competitivo anche in Europa, rispetto per una dimensione affettiva e privata da tutelare in quanto può fungere da volano ai suoi speriamo ritrovati entusiasmi.
Siccome si parla di Adriano, pare esista la franchigia necessaria per invadere il terreno non solo del suo privato, ma addirittura della sua psiche, del suo ego definito ora ipertrofico ora abbattuto al punto tale da giustificare l’utilizzo del termine "depressione" ignorando la gravità che questo comporta a livello clinico. Sin dai tempi dell’Inter, in verità. Però all’epoca, il che non è certo una giustificazione, c’erano almeno episodi conclamati di "devianza" dei comportamenti del giocatore rispetto ai dettami della vita da atleta. Qui a Roma invece, dove il giocatore stava e sta vivendo il tentativo di una rinascita, come uomo e come professionista, tentando di sfruttare un periodo avvolto innanzitutto nel silenzio, sinonimo di meditazione e ricerca di nuove motivazioni, ecco che si sceglie di parlare di lui nonostante tutto, di pescare nel pozzo degli stereotipi forniti dai comportamenti che speriamo appartegano solo al suo passato, di descriverlo come nuovamente sconfitto dalla vita e dalle proprie debolezze.
Soltanto perchè è arrivato Borriello, che non ha un grammo di sovrappeso e che non deve smaltire infortuni. Cos’è questo psicologismo d’accatto? Quale motivazione muove la penna di giornalisti che si ricordano di Adriano dando per scontato l’esito negativo della sua scommessa, che procedono di luogo comune in luogo comune fornendo non informazioni su come il tentativo di recupero sta procedendo, ma su come secondo loro è quasi scontato che possa andare a finire, solo perché si tratta di Adriano, quello dei festini e delle donne, del sovrappeso e della tristezza. E’ un esercizio retorico molto facile e anche di sicuro risalto quello di tratteggiare un "personaggio" senza dare alcuna possibilità alla "persona", di mestare in un torbido che si pretende invincibile, inevitabile, come il destino di certi personaggi letterari. Oppure, in altri termini, si chiama processo alle intenzioni, con meno letteratura e molta più volgarità. Per quanto ci riguarda, preferiamo pensare ad Adriano come ad un calciatore che al momento ha bisogno di tempo e non di riflettori, di parole affettuose e non scontate: di una possibilità, insomma. Quella che gli nega chiunque ne scriva, ancora oggi, con il maldestro pietismo di chi lo considera condannato agli eccessi e alla debolezza.