Roma-Fiorentina: 'Io che tifo viola e vivo nella Capitale'
L.C.
Il quotidiano La Nazione, edizione di Firenze, raccoglie la testimonianza di un tifoso viola, Adam Smulevich, che vive da anni a Roma e soffre a distanza per la Fiorentina. Martedì mattina Trastevere si è risvegliata frastornata, dimessa, terrorizzata dopo il ko interno con la Sampdoria. Nello storico quartiere romano, ad altissima densità giallorossa, l’incubo è ormai ricorrente. E la domanda corre sulla bocca di molti: “Non è che la Lazio adesso ci passa avanti?”. Poca voglia di pensare alla partita di Europa League con la Fiorentina malgrado le reiterate richieste di chi scrive, sceso al baretto sotto casa con ben altro umore grazie all’iniezione di fiducia della cura Joaquin-Rodriguez contro il Milan. I giornali sportivi restano in un angolo, pochi hanno voglia di sfogliarli. Nessuno che osi avventurarsi in un pronostico. Ma non bisogna farsi ingannare perché il tifoso trasteverino della Roma, il più passionale assieme a quello di Testaccio, non molla mai la presa. E c’è da scommettere che, malgrado l’apparente distacco, stasera sarà regolarmente davanti alla televisione (o allo stadio). Sono tre anni e mezzo ormai che vivo a Trastevere. All’inizio, all’epoca in cui rischiammo la retrocessione, tifare Fiorentina fu un vero incubo. Molti trasteverini speravano infatti che il “laziale” Delio Rossi, che aveva ereditato la squadra dall’altrettanto “laziale” Sinisa Mihajlovic, conducesse la squadra nell’Ade. E non mancavano di sottolinearlo apertamente al bar, al supermercato, persino in libreria. “Ah fiorentino, sei pronto a giocà con la Virtus Lanciano?”, mi fu chiesto una volta in vicolo del Cedro. L’urlo in solitaria al gol di Lazzari che (proprio all’Olimpico) ci regalò mezza salvezza, al pub di via Benedetta ancora se lo ricordano. Avevo osservato fino ad allora un religioso silenzio, anche quando Jovetic aveva aperto le marcature. Al pari di Totti mani nei capelli (pochi) e sguardo nel vuoto. Fino alla rete insperata del buon Andrea in pieno recupero, accolta con esultanza degna della miglior curva Fiesole e con tanto di sciarpetta sventolata nell’aere. “Ma guarda sto scemo”, grida un giallorosso non del tutto annichilito. E io che, pentito, rimugino: “Bravo bischero, non ti sai regolare. Adesso succede un casino”. E invece pacca sulla spalla e confessione tranquilizzante: “Stavo a parlà de Luis Enrique, nun ce capisce niente”.Da quando in panchina c’è l’aeroplanino Montella l’approccio verso i colori viola è senz’altro migliorato. Prescindendo dall’aspetto sportivo e dalla nostra maggiore competitività, si avverte come una sorta di rispetto, se non di simpatia. Merito anche dei vari Pizarro, Aquilani, Pradè – comunque rimasti nel cuore della tifoseria giallorossa. “Noi vinciamo lo scudetto, voi andate in Champions. Ti piace come piano?” diceva un caro amico qualche mese fa, in piena esaltazione autunnale da primato in classifica e senza aver ancora assaggiato il Settebello del Bayern Monaco. Cercava di rincuorarmi, vista la nostra falsa partenza. Oggi gli ho ricordato quella profezia e, via sms, mi ha risposto: “Se andiamo entrambi in Champions son contento uguale. Basta che non ci vada la Lazie”. Al bar sport improvvisato sotto casa gli unici felici siamo io e Pierluigi, un collega – appunto – della ‘Lazie’. Sorride e mi dice: “Oh, nessuno che parla della Roma. Si sta proprio una favola, non ti pare?”.