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Roma consumata da fatica e attesa, Tirana come l'Olimpico nell''84: il Feyenoord vincerà la Conference League
Di diverso, rispetto alla Coppa delle Coppe, c’è che quella era accessibile ai club che avessero vinto la coppa nazionale, mentre a questa si partecipa se si arriva dietro a quelli che vanno in Europa League. Tuttavia la Conference è più lunga e più complessa della Coppa delle Coppe. La Roma, tanto per fare un esempio calzante, ha disputato quattordici partite per arrivare alla finale, mentre la Lazio, ultima a partecipare e a vincere la Coppa delle Coppe, ne fece nove in totale. Forse, per questa ragione, quella vittoria o le altre sei delle squadre italiane (Fiorentina, Milan dire volte, Juventus, Sampdoria e Parma) vengono derubricate a successi minori?
Mi pare di no. Non sarebbe né giusto, né vero. Che poi la Conference abbia meno fascino e prestigio della Champions o dell’Europa è accertato, anche se gli avversari incontrati fin qua dalla Roma (cito il Leicester dalla Premier) o non incontrati perché sono stati esclusi (cito il Tottenham che, comunque, era secondo nel girone e aveva perso con un avversario sloveno, il Mura) sono assai diversi da quelli che vengono definiti comprimari.
Fatta questa doverosa premessa sul reale valore della Conference, diffido altamente degli olandesi, dei loro calciatori poco o per nulla conosciuti, del loro pressing alto e fresco, dell’imprevedibilità dei loro attaccanti. Come ho già avuto modo di dire a Sky, sono moderatamente pessimista, ma, con il passare delle ore, il malumore sta crescendo e vedo, alla fine, una Roma che non alza la Coppa. Da estimatore di Mourinho lo scrivo con la morte nel cuore, però temo che i giallorossi siano più stanchi degli olandesi e, soprattutto, che vivano queste ore di vigilia consumandosi nell’attesa. Successe così, anche se erano altri tempi, nel 1983-84, la finale di Coppa Campioni giocata e persa in uno stadio Olimpico prima di miele e poi di fiele.
E la Tirana di oggi somiglia tanto alla Roma di quella nottata promessa. Presa d’assalto dai tifosi romanisti, l’amata (da me) capitale albanese (ci ho vissuto quasi due anni) sta celebrando i fasti di una nottata che si vorrebbe tramandare. Mi chiedo: non è che in questo eccesso di energia, sicuramente mentale, anche i calciatori ci stanno rimettendo in concentrazione? Non c’è il rischio che, correndo con la testa già al dopo - tanto è l’attesa della vittoria -, perdano di vista la centralità della partita, cioè l’unica cosa che conta?
Troppi sono i pensieri che passano nella testa di chi si interroga su cosa accadrà. La pressione, per fortuna, è tutta su Mourinho, lui che di coppe europee ne ha vinte quattro e dovrebbe indicare la strada ai suoi ragazzi. Anche in questo caso mi chiedo: può Mourinho vincere sempre? E questa Roma è la squadra con cui vincere ancora?
Per me, lo dico senza alcuna provocazione, è un miracolo che i giallorossi siano in finale. Soprattutto perché non hanno mai potuto contare su Spinazzola (l’esterno più forte di tutta la serie A prima dell’infortunio agli Europei con la Nazionale), Zaniolo è stato più fuori che dentro e il centrocampo, senza Mkhitaryan, come nel ritorno contro il Leicester, è possente, ma mediocre. Davanti c’è Abraham che è un giocatore formidabile, ma dal quale Mourinho vuole di più. Non necessariamente più gol, ma più adesione alla partita, più attenzione ai dettagli, più continuità nei 90’. Leggo e sento che Mkhitaryan vorrebbe e dovrebbe giocare, così come Smalling. Me lo auguro vivamente perché senza di loro, comunque non al meglio, difesa e trequarti perderebbero sicurezza e smalto.
La Roma, dunque, non è favorita, ma solo una finalista che è arrivata in fondo grazie a tanto impegno e sacrificio. Ha fatto e farà fatica. Il Feyenoord, invece, è molto più leggero. Ha giocato meno in campionato e ha goduto di una pausa rigenerante prima di volare a Tirana. Ho molta paura per la Roma e per Josè Mourinho. Comunque vada, ci sarà da perdere: o zero titoli o una coppa di latta.