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Rao e il diabete: "A 9 anni in ospedale, chiesi a mia madre se potevo giocare a calcio. Oggi ho il pancreas artificiale"
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Un gioiello che ha già fatto la storia. A soli 17 anni, 6 mesi e 13 giorni, durante una gara di Serie C contro la Lucchese, Emanuele Rao ha trovato la via del gol, diventando in quella stagione il marcatore più giovane dell’intero campionato. A soli 17 anni, 6 mesi e 13 giorni, ha inoltre conquistato il titolo di secondo più precoce goleador di sempre nella storia della SPAL. Classe 2006, considerato uno dei talenti più puri del campionato di Lega Pro, è una delle certezze della squadra: ha già messo a segno 4 reti, nonostante le difficoltà di una stagione complessa per i ferraresi, chiamati a risalire la classifica. Oltre alle sfide del campo, Emanuele deve confrontarsi ogni giorno con il diabete, una condizione tutt’altro che semplice per un atleta professionista. In famiglia, una bisnonna aveva il diabete di tipo 2, mentre a lui è stato diagnosticato il diabete mellito di tipo 1, una malattia autoimmune cronica che deriva da un’alterazione del sistema immunitario.
È ormai un decennio che convive con questa patologia, come ha raccontato lui stesso ai microfoni di Cronache di Spogliatoio:
“Ho il diabete dal 2015, avevo 9 anni. Giocavo nel Chievo e durante le partite avevo sempre molta fame, iniziavo a tremare e non capivo perché. La notte mi svegliato, dovevo andare spesso in bagno, anche tre volte a notte, e bevevo tanta acqua. I miei genitori sono entrambi infermieri e hanno deciso di portarmi all’ospedale dove lavoravano per farmi delle analisi. Mi hanno trovato una glicemia altissima e hanno scoperto che avevo il diabete. Lì per lì non sapevo neanche cosa fosse, ero ricoverato in ospedale e ho solo chiesto a mia mamma: ‘Potrò continuare a giocare a calcio?’”.
Da quel momento, con il supporto della famiglia, ha imparato a gestire la malattia:
“Mia mamma mi ha tranquillizzato, mi diceva: ‘Stai tranquillo amore, potrai ancora giocare a calcio’. Sono rimasto per 5 giorni in ospedale, durante le feste di Natale, e ho passato la vigilia lì con mia mamma e mio padre. È stata tosta, non capivo cosa fosse”.
Dopo le dimissioni, è tornato subito ad allenarsi con il Chievo, seguito da vicino dal padre:
“Ho ripreso gli allenamenti con il Chievo. Mio padre mi seguiva tutte le sere, dopo lavoro, veniva a vedere gli allenamenti e mi aiutava nelle pause per bere. Andavo da lui, mi provava la glicemia e monitoravamo. Se c’era qualcosa che non andava, mi dava un panino da mangiare in fretta. Riprendevo gli allenamenti bevendo una bottiglia di acqua e zucchero. Non è stato facile”.
In seguito al fallimento del Chievo, si è aperta la prospettiva di approdare alla SPAL. La famiglia ha riflettuto a lungo prima di lasciarlo partire da solo, a distanza, ma ha poi deciso di provare:
“Quando mi ha chiamato la SPAL, i miei genitori si sono chiesti se fosse sicuro mandarmi lontano da casa, da solo, con il diabete. Ci abbiamo ragionato molto, ma abbiamo provato: ho trovato delle tutor eccezionali che mi sono state dietro, mi hanno aiutato molto, da lì ho imparato a gestirlo in autonomia. Inoltre nella scorsa stagione in squadra c’era anche Patryk Peda, anche lui soffre di diabete. Ci siamo trovati sotto questo aspetto. Adesso sta andando bene: ogni tre mesi vedo il mio diabetologo. Mi dice che ho dei risultati eccezionali”.
Ancora oggi, in ogni seduta di allenamento e in ogni match, deve prestare un’attenzione aggiuntiva:
“Ho il microinfusore, che è un macchinino. Non faccio le classiche siringhe. È una sorta di pancreas artificiale e io devo dargli gli input su cosa mangio, e su quello basa l’insulina. Prima della partita lo tengo per il riscaldamento perché più tempo lo tengo addosso, meglio è. Durante la partita lo stacco perché magari con un colpo si può rompere. A fine primo tempo lo riattacco per quei 15 minuti che sono negli spogliatoi, faccio l’insulina che serve e poi lo stacco per il secondo tempo”.
È ormai un decennio che convive con questa patologia, come ha raccontato lui stesso ai microfoni di Cronache di Spogliatoio:
“Ho il diabete dal 2015, avevo 9 anni. Giocavo nel Chievo e durante le partite avevo sempre molta fame, iniziavo a tremare e non capivo perché. La notte mi svegliato, dovevo andare spesso in bagno, anche tre volte a notte, e bevevo tanta acqua. I miei genitori sono entrambi infermieri e hanno deciso di portarmi all’ospedale dove lavoravano per farmi delle analisi. Mi hanno trovato una glicemia altissima e hanno scoperto che avevo il diabete. Lì per lì non sapevo neanche cosa fosse, ero ricoverato in ospedale e ho solo chiesto a mia mamma: ‘Potrò continuare a giocare a calcio?’”.
Da quel momento, con il supporto della famiglia, ha imparato a gestire la malattia:
“Mia mamma mi ha tranquillizzato, mi diceva: ‘Stai tranquillo amore, potrai ancora giocare a calcio’. Sono rimasto per 5 giorni in ospedale, durante le feste di Natale, e ho passato la vigilia lì con mia mamma e mio padre. È stata tosta, non capivo cosa fosse”.
Dopo le dimissioni, è tornato subito ad allenarsi con il Chievo, seguito da vicino dal padre:
“Ho ripreso gli allenamenti con il Chievo. Mio padre mi seguiva tutte le sere, dopo lavoro, veniva a vedere gli allenamenti e mi aiutava nelle pause per bere. Andavo da lui, mi provava la glicemia e monitoravamo. Se c’era qualcosa che non andava, mi dava un panino da mangiare in fretta. Riprendevo gli allenamenti bevendo una bottiglia di acqua e zucchero. Non è stato facile”.
In seguito al fallimento del Chievo, si è aperta la prospettiva di approdare alla SPAL. La famiglia ha riflettuto a lungo prima di lasciarlo partire da solo, a distanza, ma ha poi deciso di provare:
“Quando mi ha chiamato la SPAL, i miei genitori si sono chiesti se fosse sicuro mandarmi lontano da casa, da solo, con il diabete. Ci abbiamo ragionato molto, ma abbiamo provato: ho trovato delle tutor eccezionali che mi sono state dietro, mi hanno aiutato molto, da lì ho imparato a gestirlo in autonomia. Inoltre nella scorsa stagione in squadra c’era anche Patryk Peda, anche lui soffre di diabete. Ci siamo trovati sotto questo aspetto. Adesso sta andando bene: ogni tre mesi vedo il mio diabetologo. Mi dice che ho dei risultati eccezionali”.
Ancora oggi, in ogni seduta di allenamento e in ogni match, deve prestare un’attenzione aggiuntiva:
“Ho il microinfusore, che è un macchinino. Non faccio le classiche siringhe. È una sorta di pancreas artificiale e io devo dargli gli input su cosa mangio, e su quello basa l’insulina. Prima della partita lo tengo per il riscaldamento perché più tempo lo tengo addosso, meglio è. Durante la partita lo stacco perché magari con un colpo si può rompere. A fine primo tempo lo riattacco per quei 15 minuti che sono negli spogliatoi, faccio l’insulina che serve e poi lo stacco per il secondo tempo”.
Commenti
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spero che realizzi tutti i suoi sogni