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    Ranieri: e ora non chiamatelo perdente

    Ranieri: e ora non chiamatelo perdente

    • Stefano Agresti
    Poi a un certo punto Pellegrini ha deciso di togliere Aguero, un fenomeno, e ha buttato dentro Bony, un ragazzo costato appena 30 milioni di euro. E ha tolto anche Silva, campione del mondo e bicampione d'Europa: vai Navas, tocca a te e guarda se puoi fare qualcosa, mi sei costato 25 milioni di euro. In campo c’erano già de Bruyne, uomo da 71 milioni, e Sterling, 68 appena, più Yaya Toure, Mangala, Otamendi… Dove ti giri, vedi un calciatore che vale una fortuna, una montagna d’oro con la maglia celeste addosso.
     
    Più o meno in quello stesso momento Ranieri ha tolto Inler, uno scarto - massì, diciamolo - del Napoli e l’ha sostituito con tal Ulloa, ventinove anni, argentino, alla seconda stagione in Premier. E se è arrivato lassù tanto tardi, un motivo ci sarà. Così come ci sarà una ragione se anche il secondo uomo che Ranieri ha lanciato nella mischia per vincere la partita, Andy King, ha compiuto i ventisette anni avendo meno di quaranta presenze nel massimo campionato inglese.
     
    Ranieri contro Pellegrini, la sfida del giorno, è finita zero a zero e le occasioni migliori le ha avute il povero Leicester, non il City degli sceicchi. La classifica continua a dire che questo piccolo club è al comando della classifica assieme all’Arsenal e crediamo che sia una delle sorprese più clamorose nella storia del calcio moderno. Inimmaginabile che potesse pensare di trovarsi in quella posizione anche solo per caso, magari dopo due o tre giornate di Premier; quasi fantascientifico che ci sia adesso, a metà campionato, alla faccia di City e United, Chelsea e Liverpool.
     
    Ranieri in carriera non ha vinto molto, ma gli allenatori non si giudicano solo dai successi. Perché conquistare trofei è difficile anche quando si ha la squadra migliore, o una delle migliori, però se non la si ha è praticamente impossibile. E lui non l’ha avuta. Non lo era il suo Chelsea, embrione dello squadrone creato da Abramovich dopo la sua partenza, né lo era in precedenza quel Valencia che comunque ha guidato a grandi traguardi. Non lo era certamente la sua Juve neopromossa, che ha condotto a un passo dai quarti di Champions: gliene fecero una colpa, volevano lo scudetto, eppure quelli che arrivarono dopo (Ferrara, Zaccheroni, Delneri) si accorsero di quanto quella squadra, e forse anche quella società, dovessero crescere per vincere. Era forse da scudetto la Roma che rilevò da Spalletti dopo due giornate e condusse a due partite dal titolo, con una cavalcata straordinaria: ma aveva cominciato con l'handicap e nella partita fatale, contro la Samp, ci si mise anche la sfortuna.
     
    Non è un perdente, Ranieri, come qualcuno lo dipinge in Italia, a Roma così come a Torino. E non è nemmeno un difensivista: ieri a un certo punto, contro il City che traboccava campioni, ha tolto il medianaccio Inler e messo dentro un attaccante per provare a vincerla. E’ un allenatore che ottiene sempre, o quasi, il massimo dalle proprie squadre. E a volte va anche oltre. Così dicono a Leicester, almeno.

    @steagresti
     

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