Quella volta che Toshack mi mostrò Xabi Alonso e lo consigliai alla Roma
Da poco aveva lasciato la panchina del Real Madrid, dette le dimissioni a febbraio per problemi con i leader dello spogliatoio stellare di quel tempo, che fra l’altro vinse poi la Champions League a maggio. I senatori erano Davor Suker, Clarence Seedorf, Predrag Mijatovic, Christian Panucci, loro comandavano in quel Real Madrid ed erano in conflitto costante con John. L’uomo su cui faceva affidamento il mister era Raul Gonzalez Blanco, allora giovane campione, ragazzo straordinario, goleador stellare, già punta di diamante di quel Madrid da paura e fuoriclasse della nazionale spagnola. Ma una sera, durante l’inaugurazione di un ristorante di Raul e del compagno Helguera, accadde qualcosa che piacque molo poco a John, sentiva che stava perdendo di mano lo spogliatoio, che si stavano creando crepe pericolose e forse irrimediabili. La mattina del giorno dopo, fulminante e immediata, arrivò la notizia bomba che Toshack ha consegnato le dimissioni al presidente Lorenzo Sanz e ha lasciato la panchina del Real Madrid. Ricordo ancora il telegiornale di quella mattina che fece vedere le immagini di John che esce dallo stadio con il suo suv e solo per qualche millimetro non sdraia al suolo tre o quattro giornalisti presenti alla fine della salitina della porta di uscita dei giocatori del Bernabeu.
Aveva un carattere molto particolare, un gallese duro e rigido, metodi antichi, poche storie e pedalare, la notte si dorme, il giorno si lavora, e pochi grilli per la testa, altrimenti sono problemi per tutti. Terminò così il suo secondo mandato al Real Madrid, fece un’esperienza poco dopo al Saint-Etienne in Francia e poi tornò nella sua vera casa, San Sebastian, alla Real Sociedad, la società a cui è certamente più legato. Andai a trovarlo, cenammo insieme, parlammo tantissimo quella sera, ne rimasi incantato. Lui è l’inventore del modulo a double-pivot, l’oramai notissimo 4-2-3-1, lo sperimentò per la prima volta a La Coruña quando allenava il Deportivo, i due mediani erano Mauro Silva e Donato, chi ha memoria e conoscenze potrà ricordarne le qualità fisiche mostruose, la forza, la personalità, erano due dighe improponibili da superare, acciaio puro, cattiveria brasiliana di quella vera. Mi raccontava che proprio da lì parte quel modulo, quelle devono essere le basi essenziali per potersi permettere poi tre mezze punte e un centravanti là davanti. Io a tavola non lo seguivo più, mi stava rimbecillendo, fra bicchieri, forchette, coltelli e bicchieri, spostava e muoveva in continuazione gli oggetti, raccontandomi praticamente tutto del suo credo calcistico, delle sue idee innovative, della sua vocazione tattica, della sua storia.
Era di una bellezza quell’uomo così entusiasta, così colto, così affascinante, così omone grande e famoso che si divertiva con me a raccontarsi e raccontare. Passammo una serata splendida, sembravamo amici temprati e vissuti quando mi riaccompagnò in hotel. Prima di farmi scendere dalla macchina mi disse: "Se resti anche domani ti faccio vedere un ragazzino che ho con me alla Real Sociedad che diventerà un mostro, e anche suo fratellino più piccolo sta venendo su bene. Dovetti ripartire, rientrai a Madrid, non potevo restare, ne parlammo più avanti. Lo faceva giocare quasi sempre, era un centrocampista, un regista puro, intelligente, una mente meravigliosa, umile e pratico, grande cucitore di palloni ma dotato anche di un gioco lungo meraviglioso, si posizionava in quel tondo di centrocampo e dirigeva l’orchestra, era uno spasso guardarlo dal vivo. Lo osservai due, tre volte e ci lasciai il cuore. Chiamai Franco e consigliai alla Roma di venire a vederlo perché ne valeva assolutamente la pena. Mandarono un osservatore, Vincenzo Minguzzi, con cui andammo a vedere anche Vicente del Valencia, un’ala sinistra che mi piaceva da matti, la gara era Spagna-Israele under 21. Vincenzo oggi fa il direttore sportivo, a lui piacque molto, a Fabio Capello un po’ meno evidentemente, ma non era una novità, lui voleva sempre e solo campioni affermati, pronti per vincere subito, non aveva tempo da perdere con i ragazzini. Io a Franco facevo una testa così per convincerlo a prendere questo gioiello, ma naturalmente anche lui doveva rispettare le priorità dell’allenatore, ne riconosceva le doti ma non vollero affondare. Questo bambino si chiamava Xabier Alonso Olano, per gli amici Xabi Alonso… ciò che poi la storia ha raccontato della sua carriera lo sappiamo tutti, inutile soffermarsi ancora. Il fratellino non ce l’ha fatta, ma John aveva questa grandissima dote nell’intravedere il futuro di un giovane calciatore, glielo dicevo sempre. Un giorno mi confido’ che gli sarebbe piaciuto venire a farsi un’esperienza in Italia, ne parlammo. Sarà il mio prossimo racconto.
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