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    Bonucci, il fratello che non ho mai avuto

    Bonucci, il fratello che non ho mai avuto

    • Michele Dalai
    Inizia come tante altre volte, come sempre. Non hai seguito le qualificazioni se non distrattamente, sbirciando spezzoni di partita e scuotendo la testa già deluso, perché la delusione preventiva è di quelli che la sanno lunga. Partite che a non guardarle sembrano tutte uguali, un allenatore di cui riconosci l’enorme bravura ma che proprio non riesce a starti simpatico, un gruppo di giocatori che non sostituirà mai nel tuo cuore gli eroi del 2006. Quelli erano semidei, questi sembrano ometti che svolgono con diligenza un lavoro d’ufficio. Dignitoso ma ripetitivo. Insomma c’era Pirlo e c’è Montolivo, come si fa a provare lo stesso trasporto? Resta quel monumento al calcio di Buffon, quel signore di Barzagli e poco altro, ti guardi allo specchio e ripeti mille volte che non ci cascherai, che al momento buono non ti farai travolgere dalle emozioni per poi ritrovarti col culo in terra, sudato e depresso a causa di un qualsiasi Costarica. Poi gli spunti polemici aumentano, Conte annuncia che a fine torneo se ne andrà, Bonucci si impegna oltre l’immaginabile a incarnare lo stereotipo del giocatore divisivo, simpatico ai suoi e odioso per chiunque altro segua il calcio, Montolivo prima si fa fischiare per metà campionato e poi si infortuna alla vigilia della millesima occasione di riscatto e per completare il disastro si rompono Verratti e Marchisio. Quello è il momento in cui tiri un sospiro di sollievo e pensi che non solo sarai lucido e non ti farai coinvolgere, che nonostante il genio calcistico di Conte questa Nazionale non può andare lontano, che sarà tutto breve e terribile, quindi forse indolore. Non vuoi più soffrire. Poi c’è il Belgio, ci penseranno i ragazzini di Wilmots a mandarci a casa senza troppi indugi, loro e quelle capigliature così moderne, i contratti milionari, i dribbling funambolici. Vero, passano anche le terze e forse si rischia di andare avanti, ma vuoi mettere la classe immensa di Ibrahimovic e la voglia degli irlandesi? Siamo vecchi, brutti, sporchi, cattivi e scarsi.

    Poi succede di nuovo, come sempre. Non è nemmeno una cosa da Jekyll e Hyde, nessuna trasformazione, niente vesti lacerate, niente ululati. Alle sette torni a casa e rovisti nel cassetto delle tue scemenze, quello che tua moglie pietosamente non rimuove in omaggio a un’adolescenza infinita. C’è quella bandiera, stropicciata, macchiata di birra, strappata e adorata, il tricolore che hai trascinato in giro per tutta la notte del 9 luglio 2006, tra tuffi nelle fontane e cadute sui cocci di mille bottiglie rotte nel delirio. La tiri fuori e la guardi in silenzio, la accarezzi, fai un sospiro lungo e la riponi, perché le hai promesso che prima o poi verrà di nuovo il suo momento e non vuoi più farle vivere una nottata come quella di quattro anni fa, quella finale orrenda contro gli spagnoli, Sergio Ramos che cerca di segnarci il 5 a 0 di tacco, tutti gli incubi di una vita concentrati in un gesto tecnico. Manca un’ora alla partita e sei sempre tu ma già diverso. Ci hanno provato i tuoi genitori a farne una questione ideologica, a insegnarti che l’inno non va bene, la bandiera non va bene, che son tutte cose un po’ grossolane, da 'fascista' come direbbero loro. Non ha funzionato, non hanno vinto. Baci tua moglie come Ettore prima dell’ultimo duello, sollevi tuo figlio e provi a rassicurarlo, a dirgli che è in buone mani e in quel momento la tua stretta è sempre la tua, solo che diventa salda come quella di Gigi Buffon. Sei ancora tu ma già pensi a Graziano Pellé come al fratello che non hai mai avuto. Quando atterri sul divano, quando tutto inizia, quello è il momento in cui ti accorgi che la routine, la vita di tutti i giorni, il Bar sport dei campanili è irrilevante, non importa quale maglia indossino per tutto l'anno, chi abbia vinto cosa e come. Non è questione di epica moderna, non c’è retorica, è semplicemente una cosa che hai o che non avrai mai. 


    Se dopo dieci minuti di partita hai le vene del collo gonfie e ascolti la tua voce come un eco lontano, la tua voce che grida bravo Chiello, se riesci a farlo nonostante le tonnellate di insulti che hai riversato su quel ragazzo per una vita intera, allora ce l’hai. Se Bonucci diventa un padre della Patria già a fine primo tempo, proprio lui che ha ferito e deriso il tuo club troppe volte per passarla liscia, allora ce l’hai. 

    Se il giorno dopo, se oggi per te è una giornata diversa e te ne fotti di quelli che ti guardano severi mentre esci da un negozio di articoli sportivi con la maglia di De Rossi ('alla sua età, suvvia'), se stai bene come poche altre volte (sempre quelle), e pensi che sarà pure l’oppio del popoli ma è roba buona, allora ce l’hai. Nel corso di una vita m’è capitato di sentirne tante, tutte diverse. Gente che tifava contro la Nazionale perché se l’Italia è quella di Berlusconi allora non mi sento italiano, gente che per terzomondismo hardcore tifava Ghana contro gli azzurri, gente che tifava Irlanda perché si sente Irlandese, gente che tifa Spagna perché loro sì che giocano o Francia perché loro sì che hanno una società multirazziale. Gente che non tifa la Nazionale perché si tifa solo per la propria squadra di club. Ho incrociato persone che mi giudicano superficiale perché il calcio è volgare e il tifo irrazionale, che non capiscono come il ruolo di (molto presunto, nel mio caso), intellettuale si concili con questa passione, violenta e bellissima. Ho una buona risposta per tutti: alzo le spalle. Mi permetto di essere manicheo di essere qualunquista e medio, un’alzata di spalle e via. Un tempo avrei speso ore a teorizzare la mia follia, a cercare di farmi accettare come una creatura esotica. Ora no, pazienza. Perché o ce l’hai o non ce l’hai, ma se anche tu hai pensato per qualche minuto di trance che in fondo Giaccherini non ha nulla da invidiare a Messi, se anche tu hai messo a dura prova la pazienza dei vicini e ora stai pensando che potrebbe essere un mese bellissimo, allora ripeti con me, ripetilo con noi. Riappropriamoci di due parole che insieme stano bene e che solo l’ottusità ha potuto trasformare in marchio politico e fazioso. Forza Italia, forza ragazzi e grazie, per quanto poco potrà durare l’effetto, drogarsi di orgoglio è una cosa meravigliosa.

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