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Quella notte a Madrid tra Juninho e Cindy Crawford: con sorpresa finale...
Nel Real avevo una chiave di entrata molto importante, la persona sopracitata, l’agente serbo amico Zoran Vekic, rappresentante fra gli altri del Capitano Fernando Hierro, di Guty, del talentino serbo Ognjenovic. Zoran vive a Valladolid da una vita, e’ spagnolo a tutti gli effetti, aveva un rapporto privilegiato con Lorenzo Sanz, il Presidente. Ricordo ancora che ci incontrammo in Plaza Castilla, nell’hotel dove alloggiava sempre lui, parlammo a lungo di tutta la situazione, Zoran fece presente che il Real stava cercando un giocatore con quelle caratteristiche e che la figura di Juninho era fra quelle prese in considerazione.
Stabilimmo alcuni accordi fra di noi, e terminata la riunione montammo in macchina e andammo al Bernabeu. La partita non fu niente di che, ricordo però le banane che i tifosi del Madrid lanciarono al portiere Oliver Kahn, penso in assoluto il calciatore più odiato nella storia del Bernabeu. Mi sembra di ricordare che la gara contasse poco perché il girone era già ben delineato, insomma una serata poco eccitante calcisticamente, ma molto utile professionalmente e troppo divertente per ciò che accadde dopo al ristorante e che adesso racconterò.
Andammo al De Maria, noto locale madrileno, covo di personaggi televisivi attori, giocatori, vip vari, un ristorante molto buono e un ambiente da paura, mai viste tante gnocche in un colpo solo. Con noi c’era anche Ognjenovic, attaccante esterno del Madrid, ragazzino serbo, simpaticissimo, pure bravo, che fra l’altro quella sera giocò, un miracolo. Davanti al nostro tavolo c’erano due amiche che mangiavano sedute tranquille e divertite, una delle due, quella che mi dava di fronte, era di una bellezza indescrivibile, guardarla metteva il magone. Ma la cosa che mi tolse la tranquillità era che questa non mi toglieva gli occhi di dosso, lo faceva con insistenza e con una birbonaggine da mangiarsela viva sul posto. Non si degnò di una sola distrazione in tutta la serata, neanche Gentile su Maradona a Spagna ’82 fu più aggressivo e insistente. Noi terminammo la cena prima di loro, e quando ci alzammo e il guardarobiere mi portò il cappotto, lo presi per un braccio lo portai dieci metri più indietro, gli consegnai un mio biglietto da visita personale e lo incaricai di consegnarlo a fine cena alla ragazza vestita di turchese che sedeva davanti a noi.
Lasciammo il ristorante e Zoran mi accompagnò a casa, fra l’altro vivevo in Calle Serrano al final, 221, vicino sia al Bernabeu che al ristorante. Ero frastornato, quella donna mi aveva scombussolato la nottata, mi chiedevo naturalmente se un giorno l’avessi potuta rivedere. Erano circa le due di notte, ricordo perfettamente l’orario ancora oggi, guardavo un match registrato di Champions, quando mi arriva un messaggio sul cellulare, leggo ed e’ lei. Non ci sto dentro, sbando, mi accaloro, era di una bellezza che solo l’idea di portarla a cena mi metteva l’ansia. Fu dolcissima e carina da morire, le risposi in modo celere e contenuto, decidemmo di sentirsi al telefono la mattina seguente. La chiamai, parlammo un po’ e decidemmo di uscire a cena insieme. Non sono il tipo che si veste da festa, che si profuma come una befana per l’evento, ma ero emozionato da paura, la ricordavo un missile terra aria, una delle donne più belle mai viste, ma non esagero. Ricordava molto Cindy Crawford come timbro, solo per darvi una misera traccia.
Ricordo ancora che fissammo davanti a una delle porte del Bernabeu, c’era una caffetteria, mi sembra fosse la 28, a la Esquina de Concha Espina, ma conta poco. Io arrivai a piedi da casa mia, mi fumai una sigaretta sul marciapiede, e aspettai il suo arrivo. Vedo una Golf bianca che mi si avvicina, un po’ incerta, mi si affianca, abbassa il finestrino, si volta verso di me alla distanza di qualche decina di centimetri e mi spara un sorriso a 50 denti sul muso. Restai semplicemente impietrito e allo stesso tempo disincantato nell’arco di due secondi di numero, la meraviglia che ricordavo e che in fondo comunque si confermò, non aveva praticamente DENTI. Davanti ai miei occhi una specie di dentiera rosa chiara, solo gengive praticamente, con uno strato di dentini bianchi che spuntavano dalle stesse di una misura non superiore ai 3-4 millimetri. Solo gengive, GIURO. Fu panico vero, ci doveva essere una trappola da qualche parte, non sapevo come gestire la situazione, mi ero fatto tali film nella testa che mi crollò completamente il mondo addosso. Ma questa donna era dolce e carina, solitamente conoscendomi l’avrei marmata sul posto e mi sarei accomodato in tutta serenità a mangiarmi un filetto e purè da solo, ma con lei non ci riuscii, mi faceva una tenerezza enorme, e la portai a cena.
Gli spagnoli sono festosi, gioiosi divertenti, a tavola anche lei rideva in continuazione, era uno spettacolo praticamente insostenibile, ma lo portai a termine, con sacrificio, ma con rispetto, con cavalleria, perché lei lo meritava. Mi feci accompagnare a casa, ero freddo, gelido, distante, non vedevo l’ora di arrivare nella mia calda cuccia, non ne potevo più. Pensavo al gelo di quella notte al Bernabeu, alle banane, alla classe di Effenberg che illuminò parzialmente quella notte, ma soprattutto al De Maria, all’uomo che mi portò il cappotto, a quando arrivai a casa che neanche toccavo terra con i piedi da quanto volavo, al messaggio notturno. Tutto crollò in un fulmineo e flashante sorriso sotto la Puerta 28 del Bernabeu, non la dimenticherò mai quella scena, ricordo ancora quando la raccontai a Zoran un giorno in macchina, gli dovetti passare i fazzoletti perché piangeva come un bambino dalle risate che si fece. Non si fermava neanche un attimo, anche perché lui di donne se ne intendeva anche troppo…Forse più che di calciatori.