Quell'incontro con Alfredo Martini
Mi disse del padre operaio e delle 400 lire per la prima bicicletta, "una mesata intera", dell'odio per la guerra, e della fame sofferta ma insaporita dalla libertà, dei giorni buoni, degli schiaffi, del dolore, mi disse del socialismo e della delusione di ideali rovinati da uomini corrotti. Mi fece vedere una foto conservata dentro un libro: era lui con il "figlio" perso, Franco Ballerini. Sorridevano. Parlammo di libri, dei minatori senza scampo di Cronin, dei perdenti senza patria di Steinbeck. Poi di Coppi e anche dei suoi ragazzi mondiali e di alcune mie passioni che lo sorpresero (Visentini, per esempio). Parlammo del doping, per forza, e della sua bellissima vecchiaia, "della serenità di essere stati onesti, con tutti".
Cercai una frase già scritta, per salutarlo, ché la sua vendemmia era fatta, succede quando il mosto della vita colma i suoi tini. Mi strinse la mano di una stretta forte, mi disse che sarebbe salito in camera, su per la scala di marmo, per andare nella stanza di Elda a prenderle la mano e tenerla sul volto caldo. Uscendo, ero stordito di commozione. Non ho incontrato molti uomini così. Abbiamo perso un uomo semplice ed enorme, lo abbiamo perso tutti, quest'uomo in comune.