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Quel che resta di Mazzarri, Napoleone di provincia
Mazzarri arriva ma quello che le telecamere inquadrano non è Lui. Non può essere il Napoleone di San Vincenzo, petto a due piastre e se indietreggio sparatemi. E' un altro. Sguardo a terra. Lo stesso di un alunno che vorrebbe alzare il dito per andare al gabinetto e schivare l'interrogazione. Boban, che pure lo stima, non può esimersi e lo incalza: Mazzarri reclina la testa, le mani sulla fronte madida, balbetta qualcosa. Non si capisce ma gli si legge in faccia la supplica: Zorro per favore no, lascia stare, fammi andare, non posso parlare, noi gente di calcio lo sappiamo che a volte non c'è nulla da dire.
Tutto qui? Si, Mazzarri è lì da un minuto scarso e vorrebbe già andare via, abbozza una spiegazione: "La condizione fisica, forse altro ma non posso, capite voi..." Non finisce nemmeno la frase. E' una scena patetica e il pietismo da maestrina comprensiva della D'Amico acuisce gli imbarazzi in studio e a casa.
Mazzarri quello che ha sempre una spiegazione per tutto e se non ce l'ha tiene sempre un nemico nel taschino pronto all'uso, stavolta non ha che un fazzoletto bianco in quel taschino e lo sventolerebbe ben volentieri in segno di resa. Ma non può, glielo impedisce la storia, appunto, quella sua con la esse maiuscola che insieme a un Ego smisurato e indissolubile oggi, dopo anni di vittorie, lo imprigiona nelle sue stesse catene. Non può arrendersi, non lo farebbe mai. Lui è Mazzarri. Un giorno vedrete! Per undici anni ha rincorso quel giorno. E adesso non sa, non vuol scoprire che quel giorno probabilmente è già passato. Ci vorrebbe un vero allenatore da grande squadre in dopopartita come questi. Un allenatore capace di andare proprio a petto in fuori in sala stampa dove si va per lanciare messaggi forti e chiari sia allo spogliatoio che all'esterno nei momenti più delicati. Non uno scolaretto smarrito che aspetta soltanto che la maestra lo rispedisca al proprio banco.