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    Quando Luciano diventò Eriberto, il racconto a CM: "Ho vissuto brutti momenti, mai sentito in colpa"

    Quando Luciano diventò Eriberto, il racconto a CM: "Ho vissuto brutti momenti, mai sentito in colpa"

    • Francesco Guerrieri
    Lo chiamavano Eriberto, ma il suo nome era Luciano Siqueira de Oliveira. La storia è nota: nell’estate del 1998 a Bologna arriva un esterno brasiliano che dopo due stagioni diventò uno dei protagonisti del Chievo dei miracoli firmato Gigi Delneri. Era del ‘79, all’epoca del trasferimento aveva 21 anni. Almeno così diceva la sua carta d’identità. Falsa. Perché in realtà Luciano aveva rubato l’identità a un’altra persona falsificando la sua identità per risultare quattro anni più giovane. 

    Nell’estate 2000 vai al Chievo, il trasferimento che ti cambia la vita.
    "Mi avevano preso dal Bologna, sono arrivato in una realtà completamente nuova per me. Nessuno pensava potessimo fare così bene, neanche noi".

    Il Chievo dei Miracoli, lo chiameranno. Arrivate quinti e andate in Coppa Uefa. Qual era il punto di forza di quella squadra? 
    "Un gande allenatore come Gigi Delneri: l'ho conosciuto durante quell'esperienza a Verona, aveva una grande determinazione. Inoltre devo fare i complimenti a Sartori e Campedelli che hanno creato una squadra forte prendendo giocatori come me in cerca di riscatto".

    Senti ancora qualcuno di quel Chievo?
    "Ultimamente Pellissier ha fatto una cosa bellissima dando nuova vita al club e per l'occasione ha riunito tutti i giocatori di quel Chievo storico, siamo andati a cena insieme e abbiamo ripreso i contatti. Altrimenti, prima, difficilmente ci sentivamo. C'era anche Delneri, che mi prendeva in giro per quello che ho fatto".

    Che allenatore era Delneri?
    "Un perfezionista, era capace di farti fare una stessa cosa anche 10 volte finché non ti riusciva come voleva lui. Tatticamente il migliore, anche se gli allenamenti erano molto pesanti; talmente duri che oggi i giocatori si rifiuterebbero di farli".

    Qualcuno dice che quando parlava si aveva difficoltà a capirlo…
    "Alcune volte facevamo delle battute su questo, ma sono solo dicerie. Diciamo che sia io che Manfredini, i due esterni titolari di quella squadra, cercavamo di giocare sulla fascia opposta alle panchine altrimenti ci tartassava".

    Nel 2002 ti cerca la Lazio, te sparisci e torni in Brasile.
    "E' stato un momento difficile della mia vita, una sliding door che avrebbe potuto cambiare tutto. In realtà con la Lazio avevo già firmato, due giorni dopo era in programma la presentazione. Ma ho deciso di fare quello che tutti voi sapete".

    Come mai avevi deciso di cambiare identità?
    "E' stata una scelta fatta ancora prima di iniziare a giocare nel Palmeiras, dettata dal fatto che arrivavo da una famiglia povera e cercavo una svolta. Ho iniziato a giocare a calcio per soldi, anche se mi è sempre piaciuto. Quella scelta fu un errore. Nei prossimi giorni inizierò a scrivere un libro sulla mia storia".

    Quanto ti pesava il fatto di dover convivere con un'identità falsa?
    "Molto, sempre. La gente pensava che facessi una vita serena, ma quando arrivavo a casa ero solo con me stesso e quelli erano sempre brutti momenti. Solo la mia famiglia sapeva la verità".

    Poi hai confessato tutto in quell'estate del 2002.
    "Il momento in cui mi sono liberato di questo peso sono rinato per la seconda volta. Sentivo che quello era il momento giusto per farlo, me l'ha detto il Signore". 

    Un tuo ex compagno ha raccontato che in un’amichevole col Paok ti eri scambiato la maglia con un certo Luciano.
    "E' vero, ma è stata una conincidenza che lui si chiamasse Luciano. Mi aveva chiesto di scambiare la maglia perché eravamo tutti e due brasiliani". 

    Ma Eriberto esiste davvero?
    "Sì, è una persona che esiste. Lo conoscevo perché eravamo della stessa città, una persona ci ha consigliato di scambiarsi le identità e il resto è storia".

    È vero che, quando eri ancora Eriberto, i tuoi compagni ti prendevano in giro dicendoti che sembravi più grande? 
    "Sì, mi facevano delle battute di questo tipo; ma non mi ha mai dato fastidio".

    Non ti sei mai sentito in colpa verso compagni e avversari per quanto fatto?
    "No, mai. Non mi sento di aver preso in giro nessuno, e di non aver fatto torto a nessuno. Giocavo perché meritavo, senza mai mancare di rispetto ai miei compagni. Alla fine giocavo con calciatori che avevano la mia stessa età. Anzi, dovendo sembrare più giovane dovevo impegnarmi ancora di più".

    Sei stato squalificato per sei mesi, ma c'è chi dice che hai rischiato anche il carcere.
    "Ma no, non esageriamo. Questa cosa non è vera".

    Dopo questa storia torni a giocare e tra l’estate 2003 e gennaio 2004 fai 5 presenze con l’Inter.  Che esperienza è stata?
    "Sarebbe potuta andare meglio. Sono arrivato in un periodo particolare con il cambio d'allenatore: avevano esonerato Cuper che giocava con un 4-4-2 perfetto per le mie caratteristiche, prendendo Zaccheroni che con il suo 3-5-2 mi penalizzava. Ma sono contento di aver giocato in una squadra forte".

    Hai qualche rimpianto?
    "Uno solo, il fatto di essere stato solo sei mesi all'Inter. Fossi rimasto tutto l'anno sarebbe potuta andare diversamente, perché poi al posto di Zaccheroni è arrivato Mancini che mi voleva già alla Lazio".

    Oggi cosa fai?
    "Vivo in Brasile, sto scrivendo il libro sulla mia storia che uscirà prima in brasiliano e poi ci sarà la traduzione in italiano. Ho preso il patentino Uefa B col quale posso allenare fino alla Serie D e fare il vice in Primavera come già successo con il Chievo. Mi piacerebbe rimanere nel mondo del calcio, ma non come allenatore: magari lavorare come scout qui in Brasile per qualche club italiano".

    @francGuerrieri 

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