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    Il PSG è solo marketing. E la colpa non è esclusivamente di Emery

    Il PSG è solo marketing. E la colpa non è esclusivamente di Emery

    • Giovanni Daloiso
    Un'altra sconfitta dopo quella di Strasburgo, ininfluente ai fini della classifica del girone di Champions League ma che getta ombre sul Paris Saint Germain. Il ko contro il Bayern Monaco ha lasciato una sensazione poco rassicurante circa il valore della squadra di Unai Emery. Dubbi e incognite che non possono essere indirizzate però solo sul tecnico spagnolo, che torna prepotentemente a rischio in vista della prossima stagione.

    PREMESSE - Dici PSG e pensi alla gallina dalle uova d'oro che, assieme al Manchester City, da sei anni a questa parte sta dominando sul mercato, mentre sul campo non ha ancora trovato la sua totale consacrazione: i quattro campionati di fila conquistati dal 2013 al 2016 e gli altri trofei nazionali ottenuti in un contesto non estremamente competitivo come la Francia non rendono pienamente merito al valore della rosa. Che qualcosa non andasse in questo Paris Saint Germain ce ne siamo accorti già nella prima stagione in panchina di Emery all'ombra della Tour Eiffel, nella quale sono arrivate cocenti delusioni. Dal naufragio del 6-1 al Camp Nou con il Barcellona in Champions dopo aver vinto 4-0 l'andata, alla mancata conquista del campionato a causa della maggior compattezza dei ragazzini terribili del Monaco. Tutta colpa dell'allenatore, quindi? Sì, sulla carta. Il primo bersaglio di tifoseria e stampa quando una nave non naviga in acque sicure è sempre il condottiero. A prescindere dai limiti di una struttura apparentemente perfetta, per l'ennesimo anno destinata a ritagliarsi un pezzo di storia e di gloria. Speranze confezionate a suon di milioni, questo è il pensiero degli sceicchi. Ma lo scorso anno, la dura realtà del calcio ha emesso una sentenza ben definita: non sono i miliardi a far levare i trofei al cielo.

    SPRECHI - Una buona metà della ricetta di un top club per conquistare trofei è costituita dai fondi, l'altra dal progetto. Ecco, il progetto. Se la stagione 2016-2017 è passata alla storia per aver segnato il fallimento di PSG, Manchester City e Inter (club passati alla storia per aver deluso in campo rispetto ai pesanti investimenti fatti), va evidenziata la mancanza di un reale scopo riservato a giocatori pagati decine di milioni. L'anno scorso il PSG si rifaceva il look con volti nuovi come Ben Arfa (svincolato), Meunier (7 mln), Krychowiak (26), Lo Celso (10+4) e Jesé (25) in estate e Draxler (45) e Guedes (30) in inverno. 140 milioni totali. Risultato: il miglior rendimeno l'ha garantito l'acquisto meno pubblicizzato e pagato, il terzino destro Meunier. Non si può dire diversamente di Draxler, che ha confermato le aspettative riservategli a suon di gol: 10 reti in 25 partite. Per tutti gli altri, solo magre figure (Krychowiak e Jesé), prestiti (Guedes) e polemiche (Ben Arfa). Di Meunier e Draxler ad oggi nemmeno si parla più, se non in ottica mercato: il primo è diventato la seconda scelta nel suo ruolo alle spalle di Dani Alves, arrivato quest'estate a parametro zero dopo l'esperienza alla Juventus, mentre il secondo ha snaturato il suo ruolo originario di esterno destro a causa dell'arrivo di Neymar, ritrovandosi a fare la mezzala a scapito di Pastore. Tatticamente parlando, è uno stato confusionale che l'allenatore non può forzare a suo piacimento, trovandosi "costretto" dall'alto a far coesistere Mbappé, Cavani e Neymar nel tridente anche se i primi due hanno caratteristiche non troppo diverse. Lasciando lo stesso Di Maria, un altro amabile resto (pagato 63 milioni nel 2015) in panchina. 

    TROFEI O SOLDI? - Gli sceicchi non dilapidano i loro soldi come se non ci fosse un domani: dietro all'apparenza di scellerati sprechi, vi è sempre un ritorno economico. Attorno al nome di Neymar si fonda un'operazione di marketing che va ad avvantaggiare lo stesso PSG, che pur si è esposto con i 222 milioni della clausola rescissoria al Barcellona oltre ai 37 di stipendio annuo fino al 2022: il ritorno economico del club sul giocatore è già un fatto scritto, essendo Neymar un asset, o meglio un bene in grado di produrne altri a sua volta tra sponsor e merchandising solo grazie alla propria immagine. Ammesso ciò, è da capire quanto il progetto sportivo dei parigini sia finalizzato alla conquista di un trofeo di quelli che contano, visto che di fronte a ripetute spese le esigenze, soprattutto dei tifosi, iniziano ad essere particolari. Il doveroso parallelo con i "cugini d'oltremanica" del Manchester City vede gli uomini di Guardiola vincere a mani basse, avendo questi ultimi raggiunto un livello invidiabile che solo il resto della stagione decreterà vincente oppure no, ma il presente sorride non poco ai citizens: loro, dopo il pasticcio dell'anno scorso, hanno pensato bene di lavorare su tutti gli aspetti possibili, apportando aggiustamenti alle zone di campo più deficitarie (specialmente le fasce). A Parigi, se le cose andassero male, tutte le responsabilità ricadrebbero su Emery, il parafulmine delle situazioni paradossali presenti in una squadra costruita in modo poco uniforme, con assurde frizioni (Cavani-Neymar sui calci di rigore) causate da gelosie, ovviamente di natura economica. 

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