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    Prandelli, Sacchi, Mourinho: perché allenare è il mestiere più stressante del mondo? Serve sano menefreghismo...

    Prandelli, Sacchi, Mourinho: perché allenare è il mestiere più stressante del mondo? Serve sano menefreghismo...

    • Stefano Agresti
      Stefano Agresti
    Le parole con cui Prandelli ha accompagnato le dimissioni dalla Fiorentina, ammettendo una debolezza caratteriale che gli impedisce di navigare nel calcio di oggi, sono state apprezzate un po’ da tutti. Giusto, ci mancherebbe: è sempre da apprezzare chi riconosce le proprie difficoltà e anche i propri limiti, a maggior ragione se in pubblico. Ci si è invece soffermati meno su un altro aspetto della questione, che non riguarda solo Cesare ma che è rafforzato dai sentimenti da lui manifestati: quanto è stressante allenare?

    Quando Ancelotti era appena arrivato alla Juve, giovane e fresco come una rosa, ci raccontava che lui in panchina ci sarebbe andato al massimo per 4 o 5 anni e poi avrebbe mollato tutto: “E chi la sopporta tutta questa tensione?”. Poi ha cambiato idea, o forse ha rivisto il proprio modo di vivere il calcio, e continua a allenare una squadra dopo l’altra riuscendo a gestire in modo straordinario ogni pressione (De Laurentiis incluso). Ma si tratta di un’eccezione, quasi di un modello, e comunque anche lui all’inizio ha vacillato. E’ invece crollato il suo maestro Sacchi, mollando tutto vent’anni fa poco dopo avere ripreso in mano il Parma: “Troppo stress, me ne vado”. Non se n’è andato Mourinho, che continua a soffrire con il suo Tottenham, ma provate a mettere accanto una sua foto dei tempi interisti a un’immagine di oggi: in 10 anni sembra invecchiato di 30. E anche la sua straordinaria verve polemica si è appiattita fin quasi a scomparire.

    Allenare dà pressioni enormi: le ambizioni della società, le aspettative dei tifosi, le dinamiche di spogliatoio, gli uomini da gestire, la rivalità con gli avversari, le critiche dei giornalisti. E adesso si è aggiunto anche l’effetto social: chiunque si può svegliare e insultarti, così, senza un motivo, solo per sfogare le proprie frustrazioni. Ignorare personaggi meschini e brutte parole? Facile a dirsi, ma non tutti ci riescono. Per carità, è uno stress che viene pagato lautamente, ma non dimentichiamo che spesso chi svolge quella professione non ha bisogno per forza di andare in panchina per campare. Spesso si tratta di ex calciatori d’alto livello che possono vivere con quanto hanno guadagnato in carriera oppure scegliere altre vie. Tanti lo hanno fatto, abbandonando il nuovo mestiere dopo averci provato. Costacurta, ad esempio, oppure Vialli, prima di decidere che una poltrona a Sky fosse più comoda di una panchina (ora Gianluca lavora nello staff della Nazionale). Non ha nemmeno cominciato Bergomi, che ha rifiutato l’Under 21, e anche Adani, il quale ha detto no alla proposta di Mancini che lo voleva nel suo staff all’Inter per avviarlo verso la professione di tecnico. Tutti loro hanno più o meno pensato: ma chi me lo fa fare?

    Per allenare occorre un carattere speciale. Non particolarmente forte, duro o addirittura cattivo. Servono di sicuro lucidità per sopportare le pressioni, nervi saldi per gestire le emozioni, un po’ di sano menefreghismo per affrontare critiche e - perché no? - esoneri. Prandelli questo carattere lo ha avuto in passato, ora è cambiato. E ha avuto il coraggio di ammetterlo.

    @steagresti
     

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