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    Prandelli scrive per CM: 'Quando il procuratore si lamenta con l'allenatore'

    Prandelli scrive per CM: 'Quando il procuratore si lamenta con l'allenatore'

    Tra i grandi meriti avuti da Paulo Sousa in questo sorprendente avvio di stagione della Fiorentina vi è anche quello di aver trovato la chiave giusta per costruire un gruppo di lavoro molto unito e di saper fare accettare le sue scelte, soprattutto quelle di formazione. Ho letto di un Sousa che comunicherebbe l'undici iniziale ai suoi calciatori addirittura sul pullman, prima dell'arrivo al campo. Parlando delle mie esperienze personali, mi sento di dire che non esista un metodo più giusto di altri, piuttosto preferisco sottolineare quanto sia importante comunicare costantemente con i giocatori e spiegare nel modo più onesto possibile il perchè di certe decisioni. Non sopporto coloro i quali usano mezzi e mezzucci per farti arrivare un messaggio indiretto. Ricordo una volta, anzi l'unica volta, che ho accettato di parlare con un procuratore che si lamentava per il fatto che il suo assistito non trovava spazio. Lo lasciai parlare e quindi gli risposi: "Per farla contento e schierare tutti i suoi assistiti in questo club bisogna cambiare i regolamenti." "In che senso?" mi chiese sorpreso. "Già ne giocano quattro, poi ne ha altri dieci fuori, faccia lei". Salutai e me ne andai.

    Riferendomi ai miei trascorsi, sia da giocatore che da allenatore, sono convinto che ogni tecnico abbia in testa la formazione da mandare in campo già da inizio settimana, lasciando sempre lo spazio a 2-3 alternative al massimo e che solo il lavoro quotidiano in allenamento possa smuovere o meno qualche certezza. Il modo di allenarsi dei giocatori è importante, tutti devono avere l'idea di dare il massimo sempre, di essere sulla corda anche quando intimamente fossero convinti di giocare sicuramente la domenica. Certe volte, basta poco per lanciare un messaggio ad un ragazzo che vuoi che si faccia trovare pronto o a confondere le idee a chi si reputa titolare fisso per stimolarlo a non mollare: anche una semplice esercitazione tattica svolta con un determinato gruppo di calciatori o la pettorina data all'uno o all'altro in partitella può nascondere dietro un messaggio preciso.

    In generale, la gestione del gruppo da parte di un allenatore è cambiata molto dagli anni '80, quando io giocavo, ad oggi. Siamo passati dalle rose di 14-15 giocatori a quelle allargate fino a 22-23 (se non oltre) dopo la sentenza Bosman. Ovviamente, il lavoro settimanale diventa più complicato, perchè ti trovi a dover tenere in considerazione le reazioni, le emotività e i sentimenti di molti più ragazzi. Ognuno ha la sua sensibilità o ognuno va gestito e stimolato in maniera differente. Porto l'esempio di due calciatori di grande talento nell'Atalanta dei primi anni '90, quando io allenavo nel settore giovanile: il primo è Pierre Regonesi, il secondo Domenico Morfeo. Regonesi era giocatore di grandissimo talento, ma che soffriva enormemente la pressione, tanto da "farsi venire" la febbre tutti i giovedì in cui veniva a sapere che sarebbe stato titolare. Abbiamo contattato anche degli psicologi, prima che il mio collega Giovanni Vavassori trovasse il modo migliore per affrontare il problema, comunicando le sue scelte all'ultimo e togliendo al ragazzo il tempo di emozionarsi.

    Di Morfeo, ricordo invece un episodio particolare, alla vigilia della replica della finale del Torneo di Viareggio 1993 contro il Milan. Il ragazzo aveva un problema fisico importante, ma era disposto a tutto pur di giocare. Insistette affinchè gli concedessi l'opportunità di fare un provino per convincermi a lanciarlo da titolare. Il provino fu superato brillantemente, ma gli feci notare come un conto fosse mostrarsi brillante sugli scatti, un altro avere la giusta sensibilità al momento di calciare il pallone e di fronte alla prospettiva di affrontare dei contrasti. Così lo sfidai, invitandolo a dimostrarmi di essere pienamente recuperato, provando a colpire un pino che si trovava a diversi metri di distanza da dove ci stavamo allenando. Lui lo centrò al primo colpo, mi convinse a schierarlo in campo e il giorno dopo fu decisivo nella vittoria di quel "Viareggio" contro il Milan.

    Un altro aspetto che influenza molto il lavoro quotidiano di un allenatore è la grande sovraesposizione mediatica a cui i giocatori sono oggi sottoposti, soprattutto quando si vengono a trovare al centro di polemiche o di continue voci di calciomercato. Dando per assodato che la maggior parte dei giocatori sono oggi professionisti perfettamente in grado di lavorare serenamente senza farsi condizionare da nulla, il lavoro anche psicologico da parte dell'allenatore è molto importante. Io sono sempre stato per il dialogo molto diretto, senza filtri, con i miei giocatori, rispettando le scelte che ciascuno di loro faceva loro nel proprio tempo libero, ma aspettandomi poi una resa massima in campo. Ho sempre adorato i giocatori di questo tipo, quelli capaci di farsi perdonare dai compagni qualche "marachella" e guadagnarsi la loro considerazione dando tutto in campo. Vi faccio l'esempio di Adrian Mutu, che durante la mia permanenza alla Fiorentina fu ad un passo dalla Roma nell'estate 2008. Noi in quei giorni stavamo preparando un preliminare di Champions League, ma Mutu non si fece distrarre dalle voci di mercato, alla fine rimase e pochi giorni dopo fu decisivo con una doppietta.


    Cesare Prandelli

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