Pozzo, non solo CT: il dirigente che seppe fare il bene di tutto il calcio italiano. Altro che quelli di oggi...
DAL TORINO AL GRANDE TORINO - Lo stesso Pozzo afferma che se si è innamorato del football, se – per usare la sua espressione – ha contratto il “virus calcisticus” il responsabile è lo juventino Goccione. Siamo sul finire del XIX secolo, Pozzo è uno studente che si dedica alle corse e non se la cava affatto male nei 400 metri. Corre in Piazza d'Armi dove da pochissimi mesi ha fatto la sua comparsa anche il pallone e con esso alcuni ragazzini che calciandolo ci corrono dietro. Tra questi, appunto, Giovanni Goccione che a Pozzo un bel giorno si rivolge così:
“Senti, quando ti vedo correre, e con te gli altri, sui 100, 200, 400 così con nessuno nè niente davanti, sai cosa mi fai venire in mente? Quelle macchine che si vedono in giro adesso, senza nessuno che le tiri, che le trascini. Pare che corrano dietro alle mosche. Così tu, quando hai corso ben bene, cosa hai preso? Al foot-ball almeno hai davanti a te qualche cosa, non corri per niente. Piantala, vieni di qua".
È così che Pozzo ricorda il suo passaggio dall'atletica al football, grazie ad un invito di Goccione, uno di quei ragazzi che per primi vi hanno giocato. Dalla squadra del Liceo Cavour ai gialloneri del FootBall Club Torinese e quindi alla fondazione del Torino. Quando la nuova società del Torino nasce con i colori granata Pozzo è a Zurigo, la notizia gli giunge direttamente con una lettera di Ghiglione assieme alla richiesta di voler anche lui partecipare alla nuova società. Pozzo aderisce al Torino senza tentennamenti, rispondendo immediatamente con altra lettera, ma non rientra a Torino per giocarvi: Pozzo rimane a Zurigo, a studiare certo, ma anche a giocare al football con il Grasshoppers. La casacca granata la indosserà solo sul finire della sua carriera da calciatore, prima di iniziare quella di allenatore, sempre del Torino. Siamo nel 1914 quando da allenatore dei granata Pozzo parte con tutta la squadra per la tournée in Sudamerica, un evento indimenticabile per tutto il movimento calcistico italiano. Il colore granata nel cuore di Pozzo resterà per sempre. Resterà negli anni dei trionfi mondiali tinti di Azzurro e resterà anche dopo, quando quel granata si mescolerà al rosso del sangue dei ragazzi del Grande Torino, quando quella mattina di nebbia lo stesso Pozzo avrà il terribile compito di riconoscere le vittime, con il cuore spezzato di una Nazione intera.
ESTATE 1914 - L'esperienza. Come vedremo anche successivamente, la vita di Pozzo è costellata da esperienze importanti che lo segnano e lo indirizzano nel cammino della sua vita e nelle scelte che compie. Una di queste esperienze è quella che vive durante la Prima guerra mondiale. L'estate del 1914 per Pozzo è un periodo emozionale da montagne russe. C'è la gioia e la soddisfazione di guidare il suo Torino nella tournée in Sudamerica, della quale già in passato ci siamo occupati, ma incombe anche l'ombra minacciosa della guerra, che nel frattempo è esplosa nel cuore dell'Europa. I mesi trascorsi a giocare a calcio dall'altra parte del mondo sono indelebili nella memoria di Pozzo, ma a settembre il rientro in Europa è brusco. Il vento è mutato, la guerra è una realtà e la neutralità italiana e soltanto una parentesi prima della dichiarazione di guerra. Vittorio Pozzo parte per la guerra nel giugno del 1915, 3° Battaglione Alpini. L'aspra vita delle trincee Pozzo la vive tutta, le battaglie sul Monte Nero, la disfatta di Caporetto e la vittoria a Vittorio Veneto, tutte tappe e momenti che servono a Pozzo a cementare le sue convinzioni e la sua solida etica, basata sul sacrificio, sul lavoro e sulla disciplina. Dalle esperienze vissute, dunque, Pozzo si convince del fatto che così come per i posti di comando, anche per allestire una formazione sia meglio una persona sola che ragioni con la propria testa rispetto ad una pluralità di soggetti. Come Pozzo bene spiega “non c'entra l'ambizione, c'entra il senso pratico”; se una persona è chiamata a lavorare da solo e a operare scelte in autonomia “è bene che egli tenga gli occhi aperti, veda, senta, ascolti, ma è indispensabile che, una volta che si è fatta una convinzione, non ceda a pressioni, a insistenze, a consigli d'origine spuria, e men che meno a intimidazioni”. In queste riflessioni c'è tutto il Vittorio Pozzo condottiere unico della Nazionale dei trionfi.
LE RIFORME - Con gli anni '10 del XX secolo Pozzo, rientrato in Italia, non solo si dedica al Torino in veste di dirigente e allenatore, ma inizia il suo lungo rapporto professionale con la Federazione, rapporto che lo vedrà protagonista come dirigente, segretario e commissario unico della Nazionale. Vittorio Pozzo viene eletto segretario federale nell'assemblea del 29 luglio 1911, dopo che la precedente gestione – con Radice presidente – era stata sfiduciata. Il carteggio a disposizione nel fondo Pozzo all'Archivio di Stato è impressionante per la mole di documenti che Pozzo stesso ha raccolto, catalogato e archiviato nei suoi anni calcistici. Lui stesso racconta che – non avendo allora la FIGC una sede stabile propria – la segreteria era stata trasferita a casa sua e che a tutto pensava lui:
“(...) Scrivevo a mano le lettere, le copiavo a mezzo di un torchio primitivo sul copialettere, scartoffie di qua, scartoffie di là, invadevo tutte le camere, e ricordo come fosse ora le lamentele e le insistenze dei miei, quando giungeva l'ora dei pasti, perchè togliessi quelle carte e quei registri dalla camera da pranzo che bisognava preparare la tavola (…)”.
L'anno seguente Pozzo siede sulla panchina della Nazionale ai Giochi Olimpici di Stoccolma, spedizione non certo entusiasmante, come abbiamo già avuto modo di raccontare in passato, se non che è la prima volta dell'Italia in una manifestazione calcistica internazionale. La preparazione della spedizione ricade tutta sulle spalle di Pozzo, nell'indifferenza generale della Federazione e del Comitato Olimpico Italiano. Dalle sue memorie possiamo apprezzare quanto importante è stata quell'esperienza per Pozzo: “Quelle Olimpiadi di Stoccolma (…) furono per me una scuola; nel più lato senso del termine, sotto tutti gli aspetti. (…)”. Quell'esperienza è fatta di contatti, conoscenze, scambi di idee, di visioni che produrranno qualche anno più tardi frutti importanti. Terminata la Grande guerra e ripresa la normale attività federale, il calcio italiano – come tutta l'Italia di quegli anni – vive un periodo di profonda turbolenza, tutte le società vogliono giocare nel massimo campionato e il torneo si dilata in modo inverosimile, con la stagione che inizia a ottobre e termina, con la finalissima, in agosto dell'anno successivo. Chiaro che così non si può andare avanti: le società più blasonate vogliono una drastica sforbiciata, le piccole non ne vogliono sentir parlare di rinunciare agli incassi. Insomma, è passato un secolo ma il nodo da sciogliere è sempre quello. Pozzo, sulla scorta delle sue conoscenze a livello europeo, pubblica una serie di articoli nei quali esprime una sua idea di riforma basata sui concetti pilastro dei campionati inglesi e tanto basta perchè la Federazione lo nomini a capo della commissione preposta a studiare un progetto di riforma. Pozzo propone dunque un campionato a girone unico a 24 squadre, con meccanismo di retrocessione/promozione, liste di trasferimento per i giocatori e divieto per le società partecipanti di ritirarsi durante il campionato. Un progetto ambizioso, tanto ambizioso che viene bocciato e seguito da quel periodo caotico che produrrà – come abbiamo avuto già modo di raccontare in altra occasione – una scissione in seno alla FIGC e alla disputa di due campionati paralleli. Eppure quella è la strada giusta per far entrare il calcio italiano in un'età nuova, molti lavorano in quei mesi per mediare, cucire rapporti, modificare e dopo alcuni anni di assestamento finalmente nel 1929 anche la nostra Serie A, grazie alle idee di Vittorio Pozzo, inizia a giocarsi in un unico girone nazionale
(Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)