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    Stadi tutti nuovi con trippa e porchetta

    Stadi tutti nuovi con trippa e porchetta

    • Ribaldo Saporoso

    Nutro una certa ammirazione per i tifosi che seguono la propria squadra allo stadio, in casa o in trasferta. Fra le tante ragioni ne prediligo una. Nell’epoca della globalizzazione e della rappresentazione, in cui si può vedere tutto da tutto il mondo stando comodamente a casa propria, loro, i tifosi che vanno e viaggiano, preferiscono ancora l’esperienza. Fanno qualcosa d’irripetibile e di autentico: ci sono, scelgono di vivere un avvenimento là dove questo accade. Vissuto, non riprodotto.

    Se la globalizzazione e l’ipercomunicazione presenta i vantaggi di poter conoscere e anche provare realtà diverse dalla nostra, sono comunque esperienze virtuali o importate, estrapolate dal loro contesto storico e culturale. Uno stadio è immerso in un luogo che ha la sua storia, le sue tradizioni, il suo clima, i suoi dialetti, i suoi monumenti… insomma la sua cultura.

    E allora si avanza una modesta proposta: perché non dotare gli stadi italiani di un tratto estremamente piacevole e caratterizzante che si chiama cibo. Non parliamo degli Hot Dog, delle pizzette surgelate, dei paninoni con prosciuttoni anonimi… E nemmeno di ristoranti con le stelle. No. Parliamo di Street Food, ma di uno Street Food di qualità, basato appunto sulla qualità e sulla particolarità delle materie prime, oltre che delle ricette locali.

    Per esempio a Parma (aspettiamo il ritorno) sarebbe perfetto trovare chi vi prepara un panino con un Langhirano di almeno 24 mesi, semplicemente aperto in due con sottilissime fette che profumano. Segnatevi questi due nomi: Pio Tosini e Sant’Ilario, prosciutti semplicemente indimenticabili.

    E a Firenze? Perché non avere dentro al Franchi un Punto Trippa, dove vi preparano all’ istante un piattino o un panino fumante di Lampredotto? Il Lampredotto è una trippa tipicamente fiorentina che per le strade di Firenze si mangia in un morbido panino, il semelle, bagnato in parte nel brodo. Viene cotto a lungo in un brodo di cipolla, sedano, prezzemolo con l’aggiunta di qualche pomodoro, e alla fine, quando entra nel panino aperto riceve una bella girata di pepe macinato fresco. Oppure, perché non trovare in un’altra parte dello stesso stadio un bel chioschetto dove poter avere la celeberrima Pappa al pomodoro? Sia il Lampredotto (piatto  più sgusciante e agile di quel che si pensi, una specie di Bernardeschi) sia la Pappa son piatti che si conservano bene, anzi come tutti gli umidi e i bolliti, ci guadagnano a riposare.

    A Roma, va da sé, ci vuole la Porchetta. Già si trova nei lunghi vagoni-ristoro limitrofi all’Olimpico, ma ci vuole quella vera di Ariccia, senza esagerazioni di spezie, ben cotta, assolutamente morbida, con la pelle croccante e il sottile strato di grasso che fa da cuscinetto con la carne. A Napoli, una meravigliosa Parmigiana di melanzane, ricetta non emiliana, bensì partenopea. Si fa la mattina in teglia e si presenta per le 3 oppure per una notturna, da bere con il vino di Gragnano, il Lambrusco della Campania, leggero e vivace (più Hamsik che Higuain).

    A Genova, la splendida fugassa co  formaggio: quella di Recco è superba. Questo piatto semplice (una focaccia all’olio imbottita con un morbido stracchino) si trova solo qui. Infinite sono le possibilità per arricchire un pomeriggio,  una mattina o una serata (visto lo spezzatino non culinario) con la grande varietà delle nostre cucine regionali o addirittura zonali: a Catania si mangia in un modo, a Palermo in un altro. In Maremma c’è l’ Acqua Cotta a Firenze la Ribollita…


    Anche questa può essere una bella risposta locale all’omologazione globale. Per finire vi dò la ricetta della Pappa al pomodoro, come la mangiava Gian Burrasca (forse qualcuno di voi lo ricorda).
     

    PAPPA AL POMODORO
    Per 4 persone. Ci vuole il pane toscano (o umbro) quello senza sale, di almeno 2 giorni. Tagliatene 6 fette e mettetelo a cuocere con mezzo ½ chilo di pomodori freschi spellati ( o pelati ). Dopo circa 10 minuti ricoprite con acqua bollente, salate e “rigirate” fino a che il liquido si raddensi e “impappisca”: né troppo sodo, né troppo liquido. Lasciate intiepidire, un giro d’olio extravergine (meglio se “novo” cioè franto  a novembre) e una macinata di pepe bianco. Questa è la ricetta classica. Ma vi consiglio vivamente un trucco: il pane friggetelo bene in una padella con dell’olio, uno spicchio d’aglio e una ciocca di salvia. Quando le fette saranno dorate, rompetele nel pomodoro che sobbolle. La Pappa viene meglio se accompagnata da una musica appropriata. Nel lettore “Il valzer della povera gente” di Odoardo Spadaro.


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