Pogba, De Rossi, Balotelli e la Disciplina
La Disciplina, strano a dirsi oggi, è uno dei fattori fondamentali della gestione di una squadra di calcio. Ed è tornata alla ribalta o se vogliamo dire addirittura di moda: non ne ho mai sentito parlare così tanto come in questi mesi. L’ultimo calciatore colpito dagli strali della Disciplina è nientemeno che il francese Paul Pogba che per essere arrivato due volte in ritardo all’allenamento è stato escluso dalla convocazione per la partita di Pescara. Un po’ strano che un giocatore ad appena 19 anni, e quindi un soldatino (non l’ho detto a caso…), s’immagina, pronto a saltare nel fuoco per la causa, abbia già atteggiamenti di questo tipo. Soprattutto dopo quanto di buono è stato detto e scritto su di lui, una vera e propria scoperta bianconera. O forse, chissà, proprio questo è il problema… Ma evidentemente sono situazioni che accadono, si ripetono, diventano sempre più frequenti e non credo che né allenatore, né società prendano certi provvedimenti a cuor leggero. La Disciplina e i provvedimenti disciplinari sono ormai ampiamente codificati nei contratti e previsti dai regolamenti interni delle singole squadre.
Poche settimane fa Zeman ha spedito in panchina De Rossi e Osvaldo, non per una esplicita violazione disciplinare, ma evidentemente per un comportamento in allenamento e in campo non consono allo spirito di squadra. Qualcosa di simile al provvedimento disciplinare insomma e in ogni caso un comportamento ampiamente e sprezzantemente censurato da Zeman stesso. Prima, e in parte anche oggi, si preferiva chiudere un occhio. Se nella Lazio scudetto degli anni ’70 Maestrelli non avesse chiuso un occhio quella Lazio non sarebbe semplicemente esistita, se Bianchi e Bigon non avessero chiuso un occhio non avremmo mai visto all’opera il genio artistico di Maradona. Di Balotelli si parla quasi di più dei suoi contrasti con allenatori e club per i ripetuti colpi di testa, che per le sue imprese in campo. Per Disciplina ci ha rimesso anche delle partite in nazionale.
Inutile fare raffronti con la rigida disciplina militare. Da qualunque lato la si veda una squadra di calcio non è ovviamente una caserma, ma è chiaro che oggi un club e un allenatore fanno più fatica a condurre un gruppo con il semplice buon senso, la comprensione, una leadeship riconosciuta. Molto spesso i giocatori, con il loro comportamento, proprio quello tendono a mettere in discussione. Il protagonismo esasperato, evidentemente, accende in alcuni giocatori la voglia di uscire dal rigido regolamento di squadra. In qualche maniera ritardi, allenamenti un po’ distratti, comportamenti platealmente esagerati sono un richiamo dell’attenzione, la proposizione di un problema, ll’affermarsi di un forte carattere individualista. Che spesso mal si concilia col fatto che a calcio si gioca in undici.
L’allenatore, oggi più di ieri, cerca di riaffermare il suo potere con un provvedimento ufficiale, pubblico, e in qualche caso anche molto forte. Credo che Lippi e Capello – per parlare di due duri che conosciamo bene – non abbiano quasi mai avuto bisogno di provvedimenti così espliciti ma abbiano sempre risolto il problema a modo loro. Sono i tempi che cambiano.