Pochi capo reparto:| E' il Mondiale 'comunista'
Finora, è stato il Mondiale del calcio comunista, un'enorme fabbrica aperta ogni giorno novanta minuti più recupero, con rari capi-reparto capaci di darle un timbro più personale, e personalizzato, della catena di montaggio (penso a Lionel Messi). Ripercorro le partite, scorro le rose, dal sommo Brasile all'esplosiva Francia, e fatico a indicare un giocatore che abbia preso per mano gli altri; viceversa, noto molte braccia tese, molto gruppo, molta cooperativa.
Non a caso, sorridono a Coverciano, il calcio è uno sport di squadra e, dunque, la bestemmia non è il Mondiale avanti-popolo ma il Pallone d'oro premia-individuo, alla faccia del partito, e della partita, massa. Robben non è ancora sceso in campo, Rooney non è più il marziano di aprile e Kakà è un Kakà minore, più vicino a Dio che all'io d'antan. Confesso di aver sempre sorriso di coloro che farneticavano che la zona è di sinistra e la marcatura a uomo di destra. Intendiamoci: non ridevo «di» loro, ridevo «con» loro.
Rientro subito nel seminato per ribadire che la vita di gruppo è un conto e il gioco da caserma un altro. Non bisogna esagerare. La stagione-spugna ha strizzato per bene i pochi talenti superstiti, fornendo straordinari alibi agli allenatori-sergenti (e serpenti). Va anche detto che le prime fasi di questi tornei si trascinano tautologicamente, essendo composte di gruppi, giochi e manovre di gruppo.
Può darsi che, pur di fare una battuta, mi sia scappata una banalità, ma mi rimetto alla clemenza della corte, ho visto il nero Ghana giocare in bianco e la bianca Germania tutta nera, i giorni passano e il Mondiale comincia a fare brutti scherzi anche agli stilisti, non solo agli sciamani. Tutti per uno era l'inno caro a Ibrahimovic. Oggi, va di moda il contrario, uno per tutti. Nella speranza che quei tutti sappiano fare davvero tutto. O, per volontà del ct, fingano di saperlo.